Non tutte le accuse verso l’operato dei docenti portano a delle condanne nei loro confronti. Non di rado, gli insegnanti finiti alla sbarra perchè additati di maltrattamenti ai loro alunni escono completamente estranei dalle accuse formulate nei loro confronti, che si rivelano delle calunnie.
Così è andata in Sicilia, dove il Tribunale di Termini Imerese ha assolto una maestra che nel 2014 era stata sospesa dall’insegnamento in un istituto della provincia di Palermo.
La docente era stata denunciata dalla madre di un alunno, secondo cui il figlio spesso veniva messo in “punizione” in uno stanzino nel corridoio della scuola, subendo anche percosse.
Sempre secondo il genitore, in un’occasione l’alunno sarebbe pure stato chiuso nel balcone della classe perché disturbava.
Durante le indagini, scrive l’Ansa, erano emersi altri episodi, tra cui la punizione inflitta a un altro bambino che era stato portato in un’altra classe e messo faccia al muro da un’altra insegnante e un presunto schiaffo a un alunno di terza primaria nel 2010.
Nel corso del dibattimento, durato 5 anni a causa del trasferimento del primo giudice, sono stati sentiti 15 compagni di classe del bambino che sarebbe stato maltrattato dall’imputata: 14 di loro hanno escluso schiaffi o punizioni corporali e smentito l’episodio del balcone, sostenendo che durante la ricreazione si chiudevano in balcone per gioco tra la contrarietà delle insegnanti.
Con la sentenza, il giudice ha assolto la maestra per tutti gli episodi recenti e ha emesso sentenza di prescrizione per lo schiaffo del 2010.
Sempre dalle testimonianze – quasi tutte favorevoli alla maestra, smentendo quindi le punizioni fisiche – è emerso che il presunto stanzino della punizione in realtà era l’aula utilizzata dalle maestre di sostegno, dotata di due banchi e situata di fronte alla classe gestita dall’imputata.
È emerso che la maestra si recava in quella stanza per fare i compiti gli alunni che disturbavano in classe, ma sempre tenendo aperte le porte delle due aule e senza maltrattare gli allievi.
Nei giorni passati, alcuni episodi di docenti violenti colti in flagranza di reato hanno riproposto il tema della videosorveglianza in classe: una ipotesi, ricordiamo, su cui però vige sempre il ‘no’ del garante della privacy, tranne che per dimostrate situazioni di pericolo.
Per tutti, l’accusa rivolta ad una docente in servizio in un istituto comprensivo romano, additata di comportamenti non corretti, forse addirittura violenti, nei confronti di un bambino disabile.
Maria Spena, deputata di Forza Italia e membro commissione parlamentare Infanzia, sostiene però che “il caso di Brescia, dove un’assistente scolastica è stata arrestata in flagranza di reato per maltrattamenti ai danni di una bambina disabile, evidenzia la necessità di una legge per l’introduzione di sistemi di videosorveglianza nelle scuole e nelle strutture sanitarie ed assistenziali”.
Contro sistemi invasivi e invadenti di questo genere a scuola, la video-sorveglianza, è invece il medico Vittorio Lodolo D’Oria, esperto di burnout nella scuola, che in passato ha espressi forti dubbi sulle modalità di accertare l’ipotesi di violenza nelle scuole verso gli alunni.
Secondo Lodolo D’Oria, “si pesca a strascico ad libitum con telecamere nascoste; selezione avversa degli episodi incriminati; decontestualizzazione delle immagini; visualizzazione parcellizzata delle registrazioni da parte di giudici e avvocati (0,1,0-4% rispetto al totale delle registrazioni); drammatizzazione della trascrizione degli atti; criteri empirici per stabilire sistematicità e abitualità degli episodi e via discorrendo”.
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