“L’ambiente, i diritti, il lavoro sono le nostre priorità, ma la scuola sta sopra, o meglio, sta dentro tutto“: le parole di Enrico Letta, leader del Pd, nell’ultima riunione organizzativa per limare il testo del programma, hanno lasciati spiazzati. Sentire dire da uno dei possibili premier della prossima legislatura che l’obiettivo primario del suo Governo sarà quello di assicurare, seppure nell’arco di cinque anni, un aumento da 300 euro al mese agli insegnanti è un impegno non da poco. Soprattutto perchè arriva da quel partito, il Pd, che nell’ultimo anno e mezzo ha sostenuto con più convinzione la linea degli incrementi stipendiali meritocratici condotta dal premier Mario Draghi e dal ministro Patrizio Bianchi.
Un’azione che nella scuola ha prodotto le Legge 79/22, con cui si è andati a cambiare il reclutamento e la formazione dei docenti. Quest’ultimo, in particolare, prevede l’incentivazione stipendiale solo per una parte minoritaria dei docenti. Certo, si tratta di fondi legati al Pnrr, che non si sarebbero potuti utilizzare per rimpinguare le buste paga del personale. L’operazione, tuttavia, si poteva (anzi si doveva) realizzare con la prossima Legge di Bilancio, andando a mettere nel “cestello” degli aumenti del Ccnl 2022/24 quelle risorse fresche che i sindacati rivendicavano anche per firmare il contratto precedente (il Ccnl 2019/21), ormai blindato, con circa un centinaio di euro lordi medi di aumenti assicurati.
Certamente, è anche vero che c’era da rispettare un patto di “ferro” con il premier, quello che avrebbe dovuto portare la coalizione trasversale a fine legislatura. E nelle ultime settimane la capitolazione del Governo non ha permesso che ciò avvenisse. Ma in precedenza qualcosa di più si poteva certamente fare.
Inoltre, sarebbe stato sicuramente più convincente spiegare al popolo della scuola che l’assenza di opposizione alle riforme Draghi-Bianchi era dettata non da disinteresse verso il settore, ma da motivi legati esclusivamente al contesto socio-economico particolarmente difficile, per via della triade Covid, inflazione, guerra in Ucraina.
Questo avrebbe potuto forse anche giustificare l’approvazione, senza nemmeno un “mal di pancia”, degli incentivi legati alla formazione, prologo di quel docente “esperto” (con effetti pratici da qui a 10 anni) che solo adesso (dopo il sì dei ministri dem e la soddisfazione del professore Patrizio Bianchi) viene considerato negativamente e quindi da stralciare.
E anche perchè oggi, ad un mese e mezzo dalle elezioni politiche, i dem sembrano volere “resettare” tutto. E perchè nel loro programma elettorale pongono l’Istruzione tra le priorità, poiché, dicono, “rimettere al centro la scuola significa ridare agli insegnanti la dignità e il ruolo che meritano, riportando – nei prossimi cinque anni – gli stipendi in linea con la media europea“.
In serata, Enrico Letta conferma tutto. Anzi, l’investimento per la Scuola diventa ancora più corposo. Quasi mezza Legge di Bilancio, “Investiamo sulla scuola 10 miliardi di euro in 5 anni. Sembra rivoluzionario ma se non lo fa la sinistra chi lo fa?“, scrive su Twitter il leader dei dem.
I docenti come la prenderanno? Daranno credito alle promesse del Pd? Difficile dirlo. Per molti sarà determinante anche la risposta degli altri partiti. La Lega ha già delineato il programma, ponendo la lotta alla precarietà tra i suoi punti principali da affrontare in caso di vittoria elettorale.
C’è curiosità, in particolare, per i programmi di Fratelli d’Italia e del neonato terzo polo, composto dai partiti Azione e Italia viva, guidati rispettivamente da Carlo Calenda (che ha già detto di volere mandare tutti i 14enni al liceo) e Matteo Renzi. Subito dopo Ferragosto anche loro scopriranno le carte sulla scuola.