“Ridare autorevolezza agli insegnanti presuppone anche la auto consapevolezza della alta dignità del proprio ruolo che ha al centro la persona dello studente”: sono le parole di commento del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, sulla decisione della Corte di Cassazione di destituire dal ruolo una docente, per “inettitudine permanente e assoluta”, malgrado il tentativo della ‘prof’ di rifarsi alla “libertà di insegnamento”: la prof si era assentata qualcosa come 20 anni su 24 anni di servizio. La Cassazione ha quindi confermato quanto già stabilito dalla Corte di Appello di Venezia nel 2021.
In primo grado, invece, il Tribunale nel 2018 aveva detto no alla destituzione ritenendo che nonostante “la disorganizzazione e faciloneria” della docente, l’ispezione di tre giorni fosse un periodo di osservazione “troppo breve” per certificare “una inettitudine assoluta e permanente”.
Ad aggravare la posizione della docente – coniugata con un ufficiale della Guardia di Finanza – è stato il fatto che nel corso unico periodo in cui aveva insegnato per quattro mesi consecutivi la sua disciplina, Storia e filosofia, vi furono diverse lamentele degli studenti per la sua “impreparazione”, la “casualità” nell’assegnazione delle valutazioni e anche il presentarsi a scuola senza i libri di testo.
A sollecitare l’ispezione del ministero era stata dirigente della scuola secondaria di Chioggia dove la prof – destinataria di assegnazioni annuali – prestava servizio. E l’ispezione ministeriale, ha scritto l’Ansa, aveva definito “incompatibili con l’insegnamento” le lezioni agli studenti della prof.
Contro la decisione presa dall’Ufficio scolastico, la donna ha fatto ricorso contro il dicastero bianco in via giudiziaria. E adesso è arrivata la conferma da parte dei giudici cosiddetti “ermellini” della Corte suprema con la sentenza 17897.
“Al di là del caso specifico su cui si è definitivamente pronunciata la Cassazione – aggiunge il professore Giuseppe Valditara – , il Ministero attraverso le sue articolazioni territoriali e in sinergia con la comunità scolastica si impegnerà sempre più a garantire che la attività di docenza sia svolta con adeguata professionalità”.
In pratica, il ministro dell’Istruzione ribadisce quanto espresso sempre dalla Cassazione, che nella sentenza sulla docente assenteista e poco professionale ha scritto che “la liberà di insegnamento in ambito scolastico è intesa come autonomia didattica diretta e funzionale a una piena formazione della personalità degli alunni, titolari di un vero e proprio diritto allo studio”.
“Non è dunque libertà fine a sé stessa, ma il suo esercizio – si legge ancora nella sentenza – attraverso l’autonomia didattica del singolo insegnante, costituisce il modo per garantire il diritto allo studio di ogni alunno e, in ultima analisi, la piena formazione della personalità dei discenti”.
Per la Cassazione, dunque, il concetto di libertà didattica “comprende certo una autonomia nella scelta di metodi appropriati di insegnamento” ma questo “non significa che l’insegnante possa non attuare alcun metodo o che possa non organizzare e non strutturare le lezioni“.
Dall’ispezione nella scuola dove operava la docente era emerso che la donna era disattenta “verso gli alunni durante le loro interrogazioni” in quanto intenta a un “uso continuo del cellulare con messaggistica”. In una classe, aveva utilizzato le foto del libro di testo che servivano per fare la verifica in un’altra classe.
Mentre interrogava, capitava che si mettesse a parlare con uno studente diverso da quello che doveva rispondere.
Per i tre ispettori del Ministero che avano approfondito il caso, la docente aveva anche “scarsa cura delle lezioni”.
Come se non bastasse, rilevarono “gravi imprecisioni nel redigere i programmi finali delle classi quarte (ad esempio, programma e numero di ore diverse da quelli effettivamente dedicati alle spiegazioni, argomento su Hegel in realtà mai trattato in classe)”.
Il monitoraggio delle tre ispettrici inviate dal Miur, nel marzo 2013, culminava nel “concorde giudizio” sulla “assenza di criteri sostenibili nell’attribuire voti, la non chiarezza e confusione nelle spiegazioni, l’improvvisazione, la lettura pedissequa del libro di testo preso in prestito dall’alunno, l’assenza di filo logico nella sequenza delle lezioni, l’attribuzione di voti in modo estemporaneo ed umorale, la pessima modalità di organizzazione e predisposizione delle verifiche”.
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