Si è parlato anche dei docenti nel corso della presentazione dello studio ”Scuola 2.0 Innovazione dei modelli didattici e nuove tecnologie per la scuola del futuro”, curato da Glocus il think tank e presieduto da Linda Lanzillotta. Lo studio è stato presentato e discusso in Senato da un pool di esperti del settore e ha visto l’intervento della ministra Stefania Giannini.
Tra i numeri snocciolati, quelli che dimostrano i gap infrastrutturali e il ritardo culturale che rendono in Italia la scuola digitale ancora un miraggio.
Il 45,8% delle aule scolastiche (130mila) non è cablato, il 18,5%, dei plessi (4.200) non sono connessi a internet, le lavagne interattive multimediali sono appena 69813 e i tablet per uso individuale nelle classi ancora meno, appena 13650.
Certo, un salto di qualità si potrà realizzare se le infrastrutture digitali verranno considerate al pari di muri, banchi, sedie, e quindi essere finanziate con il piano di investimento per l’edilizia scolastica già deciso dal Governo e se si punterà ad una forte azione per la formazione dei docenti.
Infatti non è solo un problema di mancanza di strumenti digitali. Occorre ripensare anche il metodo d’insegnamento nell’era digitale:
”Un metodo che non tema più, ma che piuttosto valorizzi – si legge nello studio – la strumentazione tecnologica disponibile oggi, potenziando al tempo stesso l’autonomia nello studio e la formazione di un autonomo profilo culturale”.
Insegnando ai ”ragazzi come muoversi nel complesso mondo digitale, come gestire proficuamente e scientificamente l’enorme flusso di informazioni presenti nella rete”. Da una parte, dunque, come ci dicono i dati della Commissione Europea, il nostro Paese ha la più bassa disponibilità di accesso alla rete a banda larga, indipendentemente dal grado dell’istituto. Eppure la stessa Europa mette a disposizione con il programma Horizon 2020 oltre 17 miliardi di euro sui 70 disponibili per sviluppare l’industrial leadership, ovvero sostenere maggiori investimenti in tecnologie chiave tra cui, appunto, quelle promosse per l’istruzione. ”Ma se abbiamo i livelli di abbandono più alti d’Europa è anche perché la scuola si allontana sempre più dagli studenti, non parla il loro linguaggio- spiega Linda Lanzillotta, presidente di Glocus – Dobbiamo mettere in atto una serie di politiche perché si sviluppi una consapevolezza nuova: e considerare finalmente gli strumenti digitali parte dei servizi essenziali della scuola, come l’acqua e la luce. Serve un salto di qualità nel metodo d’insegnamento, perché si sta allargando il gap tra docenti e nativi digitali”.
Insomma la scuola digitale che non c’è è come l’isola che non c’è di Peter Pan, ma qui a rischiare di non crescere è soprattutto il docente che non ha gli strumenti operativi per confrontarsi con i nativi digitali. Ecco perché anche un turn-over qualificato nel corpo docente sarebbe auspicabile insieme ad una serie di policy che Glocus avanza per rimettere in moto la scuola digitale. Linee guida che prevedono la rivalutazione dell’insegnante incentivando il valore della formazione e della valutazione continua insieme ad un programma nazionale che rilanci davvero i poli formativi e l’utilizzo di internet nel metodo d’insegnamento.