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I “Fratelli d’Italia” e… la scuola italiana

L’hanno cantato tutti questa volta: calciatori in campo e in panchina, commissario tecnico, medici, massaggiatori e terapisti, dirigenti presenti sul rettangolo di gioco ecc. Certamente anche i cuochi in albergo per preparare di che rifocillare i calciatori dopo le fatiche del verde rettangolo.
L’hanno imparato veramente il famoso inno di Mameli? L’hanno imparato tutto o solo qualche riga per…mimare più facilmente tutto il resto? Anche di tanto, forse, è stato capace lo stesso Marcello Lippi.  
A qualcuno è sorto pure il sospetto che sia stato l’effetto della finale, ma pure quello de La marsigliese, visto che i nostri avversari, sotto il cielo di Berlino, quella sera erano i cugini francesi i quali, si sa, lo spirito patriottico l’hanno nel sangue dai tempi della presa della Bastiglia. Da più di due secoli addietro, insomma.
L’hanno e ne sono stati sempre orgogliosi contrariamente a noi, Italiani, che tutte le volte che abbiano sentito parlare di Patria, di Nazione, di unità e identità nazionale abbiamo storto il naso e, purtroppo, anche prima dei tentativi dei nordici leghisti di cancellare l’indivisibilità nazionale.
Sarà che i francesi, nella scuola primaria, tra le altre cose studiano anche l’inno nazionale, o sarà che lo studiano perché in esso vedono qualcosa che li unisce, li definisce, li distingue, li caratterizza, li fa sentire nazione, insomma, la verità è che la Francia si sente una…nazione.
Noi abbiamo avuto bisogno di un Presidente della Repubblica come Carlo Azeglio Ciampi che ci martellasse, e ci assillasse, per sette anni con il suo concetto di nazione, di identità nazionale, di patria, per incominciare a sentirci…Italiani.
Non ci risulta, d’altra parte, che il nostro inno nazionale si insegni nelle scuole. Non lo si trova nei testi, di lettura, né nei sussidiari.
Come potrebbe, d’altra parte, essere incluso tra gli strumenti didattici un testo che viene accusato di essere incomprensibile, aulico, scritto con un linguaggio retorico, che non è congruo alla musica che dovrebbe accompagnarlo, che è carico di riferimenti storici e politici retorici, astratti ?
Non è incluso né nei testi dei saperi di base, né in quelli di approfondimenti antologici.
Ancora: per impararlo bisognerebbe mandarlo a memoria e sappiamo fin troppo bene quanta paura faccia alla scuola di oggi questa parola.
L’inno, insomma, un simbolo e nulla più di cui si è fatto tante volte a meno. Si pensi agli altri simboli, le bandiere, per esempio, che gli uffici pubblici sono tenuti ad esporre e si pensi alla fatica che loro costa tenerle decentemente presentabili prima che si riducano a scoloriti stracci appesi.
Certo si è, nella nostra storia, tante volte esagerato con l’enfatizzare oltre misura i simboli, bandiere o inno nazionale, che siano stati.
Oggi, nondimeno, c’è una diversa e più consapevole maturità culturale per assumere i simboli nella giusta dimensione atteso che, se dobbiamo essere convinti che non basta esporre le bandiere o cantare l’inno nazionale nelle manifestazioni pubbliche, non possiamo negare che le une e l’altro servono moltissimo a farci sentire comunità nazionale.
Il che è altamente positivo anche in tempi di superamento delle particolarità territoriali e politiche. Costruire l’Europa, insomma, non contro gli Stati, ma con gli Stati è il percorso da seguire per il futuro.
Accogliamo, in conclusione, come un invito ciò che è venuto dalla notte di Berlino quando l’inno d’Italia ci ha rappresentati tutti.
Smettiamola, però, di ridere se qualche insegnante perderà qualche ora della sua attività d’insegnamento per fare…metabolizzare ai suoi alunni l’oscuro testo o la saltellante musica o i reconditi significati storici.
Ne guadagnerà l’identità della nazione la cui crescita è sicuramente un compito della scuola di oggi e del futuro. 
 
 
Giuseppe Guzzo

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