Sembra avere riscontri anche nei palazzi di giustizia la linea dura del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara nei confronti degli studenti che commettono atti di violenza verso i docenti e il personale scolastico: il numero uno del Mim ha annunciato che sta operando col ministro della Giustizia Carlo Nordio ad una norma che contempli la presunzione di danno reputazionale da parte di chi aggredisce un dipendente scolastico, in modo da rendere automatico il risarcimento e nel caso di minori dovranno essere i genitori farsene carico. Con tanto di difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato e quest’ultimo è pronto a costituirsi parte civile nel giudizio penale.
“Toccando anche nel portafoglio chi è responsabile dell’educazione dei propri figli, forse un’inversione di rotta si riuscirà ad ottenere”, ha commentato con amarezza Valditara dopo l’episodio Varese, dove un ragazzo ha accoltellato un’insegnante, probabilmente perché temeva di essere bocciato, ma soprattutto dopo avere conteggiato un caso di violenza grave settimana negli ultimi 4 mesi e mezzo con i genitori aggressori ormai più che raddoppiati. Se la linea del ministro dell’Istruzione e del Merito venisse approvata, la famiglia del ragazzo che Varese ha portato a scuola il coltello e poi colpito la docente, rischierebbe seriamente di essere messa alla sbarra con un capo di accusa derivante dal mancato controllo del figlio e di ciò che ha poi fatto a scuola aggredendo un’insegnante col coltello a serramanico: nel frattempo, al figlio, nella giornata di oggi, sarebbe stata contestata la premeditazione. E sempre dal ministero bianco di Viale Trastevere sono arrivate indicazioni, con una Nota ufficiale, su chi addebitare i danni derivanti delle occupazioni delle scuola superiori: gli studenti occupanti e, di conseguenza, le famiglie (soprattutto quando i giovani responsabili dell’occupazione sono ancora minorenni).
Il giorno dopo l’annuncio di Valditara, dagli Stati Uniti arriva la notizia di una madre di un alunno condannata per omicidio colposo in seguito ad una sparatoria del figlio minorenne in una scuola risalente al 2021: aveva non solo regalato l’arma insieme al marito ignorando i segnali premonitori della sua violenza, ma anche nemmeno vigilato perché con quell’arma il figlio non commettesse imprudenze. Invece, il ragazzo portò a scuola la pistola nascosta nello zaino e fece fuoco contro i suoi compagni della Oxford High School e uccidendone quattro tra i 14 e i 17 anni.
La sentenza, scrive l’Ansa, “potrebbe avere vasti effetti in un Paese dove l’80% delle armi usate dagli studenti per le stragi sono prese nelle case loro o di parenti e amici”.
A decidere per la condanna è stata una giuria di Pontiac, in Michigan, a pronunciare il verdetto di colpevolezza contro la 45enne Jennifer Crumbley.
Dichiaratosi colpevole di quattro capi di imputazione per omicidio di primo grado e altre accuse, è stato condannato all’ergastolo senza condizionale a dicembre. La pena per la madre invece verrà stabilita il 9 aprile.
Tra un mese, a marzo, sarà processato anche il padre, il 47enne James Crumbley, per le stesse accuse di omicidio involontario: entrambi i genitori rischiano sino a 15 anni di carcere. Per il pubblico ministero, Jennifer Crumbley ha mancato al suo “dovere fondamentale di vigilanza”, cosa che avrebbe potuto evitare la strage.
Il procuratore è stato inflessibile: “Avrebbe potuto perquisire il suo zaino, avrebbe potuto chiedere a suo figlio dove fosse la pistola. Avrebbe potuto mettere sotto chiave le munizioni e la pistola. Avrebbe potuto dire alla scuola che gli avrebbero regalato un’arma. Avrebbe potuto parlare della crisi che suo figlio aveva attraversato in precedenza e della sua richiesta di aiuto”.
La difesa ha citato la natura “imprevedibile” della tragedia: “tutti i genitori possono essere responsabili di tutto ciò che fanno i loro figli?”, ha chiesto l’avvocato Shannon Smith, dicendosi preoccupato per una “procedura molto pericolosa per tutti i genitori e una delle prime di questo tipo”.
Jennifer Crumbley ha testimoniato che suo marito portò a casa la pistola Sig Sauer 9mm pochi giorni prima della sparatoria come regalo di Natale anticipato e che lei accompagnò suo figlio al poligono di tiro il giorno successivo.
“Come genitore trascorri la vita proteggendo tuo figlio dai pericoli. Non immagini mai di dover impedirgli di fare del male a qualcun altro”, ha detto. Eppure la ricostruzione dell’accaduto lascia sgomenti. Ethan ha usato una pistola che il padre aveva acquistato quattro giorni prima insieme a lui. Poco dopo postò una foto dell’arma sui suoi social account scrivendo “ho appena ottenuto la mia bellezza oggi”, con l’emoji di un cuore.
Il ragazzo registrò anche un video sul suo cellulare annunciando che stava per lanciare un attacco a scuola il giorno dopo, ma non lo postò. Inquietante anche il comportamento dei genitori. Il giorno prima della strage la madre fu contattata dalla scuola perché un insegnante aveva scoperto che l’alunno cercava munizioni sul proprio telefonino. “Non ce l’ho con te, ma devi imparare a non farti vedere”, fu la risposta della donna con un sms al figlio.
Il giorno dopo invece la coppia si rifiutò di portare a casa il ragazzo dopo l’incontro con lo staff scolastico in cui erano state espresse preoccupazioni per i disegni violenti che aveva fatto: una pistola e un proiettile, con la scritta “sangue ovunque”, ma anche commenti del tipo “la mia vita è inutile”, “il mondo è morto”. I due non chiesero al figlio della pistola (tenuta a casa in un cassetto non chiuso) né controllarono il suo zaino, lasciandolo a scuola. Poco dopo la tragedia, con Ethan che, uscito da un bagno, cominciò a sparare nel corridoio della scuola.
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