All’atto dell’iscrizione dei propri figli a scuola, le famiglie sottoscrivono il patto educativo di corresponsabilità insieme al Dirigente Scolastico e allo studente.
A dire cosa sia non mi soffermo poiché è nota a tutti la sua funzione.
Piuttosto l’attenzione è bene richiamarla su precisi doveri educativi che gravano sulla famiglia che, allora, sì diventa un soggetto interagente con l’istituzione scolastica sollevandola, pertanto, da un’incombenza che non le è propria. A dimostrazione che i primi educatori sono proprio i genitori.
L’esperienza mi conduce a delle riflessioni tratte dal lungo periodo nel quale sono stato in servizio in tempi di normalità, quando ancora non c’era la pandemia che sta veramente complicando il modo di fare scuola.
Tante volte mi è capitato di assolvere alla funzione di segretario del C.d.C.: un compito che non sempre appare il massimo. Ma bisogna assolverlo.
Verbalizzare constatando che la componente studenti, se eletta, presenzia, ma non quella dei genitori, o parzialmente, non è tanto piacevole.
Nel caso in cui fosse presente qualche genitore spesso si sente dire: “Partecipo in quanto eletto, ma i contatti con gli altri sono pochi. Comunque cercherò di riferire a tutti nella speranza di trovare riscontro”.
Come a dire: “In mancanza di ciò sarò il riferente per mio/a figlio/a”. E tutto si chiude lì.
C’è corresponsabilità? Ad ognuno la risposta.
Ancora quando si parla di problemi disciplinari di un determinato rilievo da parte di uno o più alunni dovuti alle più svariate cause, non esclusa, in primis, la maleducazione o gravi comportamenti, urge quanto mai non solo la presenza dei genitori rappresentanti, in sede di consiglio di classe, ma una condivisione con tutti i papà e mamme per renderli edotti.
E anche se si realizzasse questo, quanti sarebbero disponibili a prendere in considerazione il problema onde intervenire sui propri figli?
Giustificazioni di vario genere potrebbero essere portate.
“C’è l’istituzione scuola che mi dà una mano alla quale delego poiché formata da professionisti”, parrebbe essere una delle risposte.
Sì, la scuola è formata da operatori professionali, ma sarebbe il caso di non dimenticare che per gli insegnanti gli alunni non sono figli.
“Hai un abbigliamento non consono all’ambiente che frequenti”, può dire un professore ad uno studente o studentessa, tanto per fare un esempio.
“Questi sono affari miei, non interferisca sul mio modo di vestire”. Cosa può fare il docente? Nemmeno una segnalazione sul registro elettronico, salvo il proferimento di offese a pubblico ufficiale.
Evidente la difficoltà di fare lezione in simili contesti. E si prova amarezza e un senso di impotenza. E intanto il programma occorre svolgerlo. Con quale entusiasmo poi…
Certo la solidarietà dei colleghi non mancherà, ma intanto il nostro bravo insegnante si sentirà ferito nel suo intimo.
“Io che mi sto impegnando al massimo con profusione di risorse psicofisiche vengo trattato in questo modo: è giusto?”
Quale la risposta? Dipende dalla “vigile” presenza dei genitori. I quali accorrono, generalmente, in massa ai colloqui generali, ma meno, molto meno in quelli settimanali o bisettimanali palesando, prevalentemente, interesse al “voto”. E il comportamento?
“Ci sono altri che attendono il turno. Sarà per la prossima volta”. Fortunatamente esiste ancora la corresponsabilità.
Giovanni Todeschini
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