L’ultimo decennio del nostro secolo è caratterizzato dalle difficoltà, soprattutto da parte dei giovani, ad entrare in un mondo del lavoro in Italia sempre più segmentato e con una configurazione regionale. In questo contesto si inserisce nel 1996 l’Accordo per il lavoro i cui contenuti sono recepiti nel 1997 dalla legge n. 196, titolata “Norme in materia di promozione dell’occupazione”. Questa, modifica la legge n. 25 del 1955 apportando in materia di apprendistato sostanziali novità. Tra l’altro, eleva i limiti di età ai 16 e ai 24 anni, innalzabili sino a 26 al Sud; fissa in almeno 120 ore annue la durata dell’attività formativa esterna da parte dell’apprendista e definisce la durata minima del contratto in 18 mesi.
In base alla nuova normativa, quali sono allora i nuovi elementi che si possono individuare nello snodo tra i giovani, scuola, formazione professionale e mondo del lavoro?
Alla domanda risponde l’istituto milanese Iard con il rapporto “I giovani tra formazione professionale e lavoro: l’apprendistato in Italia”. La ricerca, partendo dalle nuove condizioni del mondo dell’occupazione e dalle recenti modifiche legislative, fa un quadro della situazione mediante un confronto fra le iniziative formative svolte dalla regioni. Innanzitutto l’indagine mette in luce come il contratto dell’apprendistato risponda alle esigenze formative delle piccole imprese e quanto sia importante nell’apprendimento la presenza di un tutor. Due le tendenze strutturali dei giovani. La prima attiene la diffusione di percorsi scolastici accidentati, la seconda riguarda la propensione verso l’autoimprenditorialità. Circa il rapporto con il mondo del lavoro, le nuove generazioni richiedono non teorie, ma nozioni tecniche-organizzative da poter subito applicare. L’alternanza scuola-lavoro è di conseguenza il modello formativo da privilegiare.
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