Luca Russo ieri pomeriggio è tornato a casa, nella sua Bassano del Grappa, tra i suoi cari, tra tutti noi.
Marta Scomazzon, la sua fidanzata, con la quale stava trascorrendo alcune giornate di vacanza a Barcellona, tornerà, rimasta ferita, dovrebbe tornare domani. In tempo per la fiaccolata di domani sera.
Non è possibile, questa l’invocazione che è una preghiera, perdere la vita così, per la follia di una fede che si è fatta violenza. Tanto da non risparmiare vite innocenti.
Un sentimento misto di rispettoso silenzio, ma anche di responsabilità, vorrebbe imporcimeni non parlare. Ma noi, uomini del nostro tempo, per parafrasare Quasimodo, non possiamo non gridare un dolore che non accetta di starsene zitto.
Anzi, è giusto che ne parliamo.
Tanti dettagli sulla vita e sulla personalità di Luca Russo, studente diplomatosi al mio Liceo Brocchi sei anni fa, sulla sua vacanza assieme alla sua Marta, anche lei ex studentessa del Brocchi, dicono di personalità aperte, che pensano positivo, che prendono sul serio responsabilità ed impegni di vita, compresa una sensibilità sociale.
Ritrovo tra le mie carte l’Annuario del 2011, con la foto di tutti i ragazzi, comprese alcune battute segnate al volo. Su Luca, in particolare (classe 5A dell’indirizzo scientifico), “che sempre ascolta, passando la sua mano nella chioma folta chioma”.
Luca è come tanti nostri ragazzi di oggi. Figli di una generazione che è migliore di come solitamente viene dipinta. Una generazione sulla quale noi adulti abbiamo oggi delle responsabilità inedite, perché non è più, come in passato, con un futuro già disegnato, prevedibile.
No, oggi i nostri giovani il futuro se lo devono costruire, anche guadagnare, sapendo che i tempi della loro vita saranno diversi dai nostri.
Responsabilità inedite, dicevo.
Per questo motivo, quando si presentano proposte innovative a scuola, non mi tiro mai indietro. Perché mi vengono in mente loro, con i loro occhi che sprizzano domande, dubbi, perplessità, ma anche tanta speranza e positività.
Lo so, non sempre diamo loro una giusta fiducia. Basta dare occhiata alla percentuale di giovani che ritroviamo protagonisti nel mondo economico, finanziario, politico, culturale, universitario. Il nostro è un mondo in mano ai padri e ai nonni, ma, lo sappiamo bene, le innovazioni le dobbiamo a questi ragazzi, alla loro inventiva, creatività, anche spensierato coraggio di buttare il cuore oltre l’ostacolo.
Come conciliare questa spinta, questa fiducia verso di loro, in un tempo segnato, come si è espresso Papa Francesco, da una “guerra a pezzettini”?
La scuola e l’università hanno sì il compito di accompagnare questi giovani nella loro formazione umana, prima che cognitiva, specialistica. Ma poi, lo sappiamo, è il contesto che va garantito, anzitutto la sicurezza.
Difficile, cioè, convivere con la paura.
Non ci può essere, cioè, alcun pensare positivo, fatto di speranza, sensibilità, competenza, merito, in un contesto di paura e di insicurezza.
La scuola è chiamata oggi ad insegnare anche questa complessità. Per non perdere la speranza, per non vivere chiusi nelle proprie quattro mura. Del resto, viaggiare è un altro modo per dire conoscenza.
Dando un’occhiata alla foto e leggendo alcuni passaggi postati da Luca prima e durante il viaggio: bastano queste poche tracce per dire il buono di questi ragazzi.
Ma sapere, nello stesso tempo, cosa è successo a Barcellona fa ancora più male.
Eppure, noi abbiamo il dovere di alzare la testa, di vincere i timori.
Altrimenti, cosa dovrei dire ai 250 ragazzi e alle loro famiglie del mio Liceo che ogni estate viaggiano non solo per l’Europa per i vari progetti, per i “viaggi studio”?
“Pensa globale, agisci locale”.
A noi il compito di dare a questi nostri ragazzi le maggiori chances per il loro e nostro futuro.
Ci vuole anzitutto coraggio, oltre che inventiva, talento e tanto lavoro, ma non ci sono alternative.
Se vogliamo essere cittadini del nostro tempo.