Gli adolescenti e i social. Un rapporto complicato. Secondo uno studio curato dalla Polizia Postale e dall’Università La Sapienza di Roma, con la collaborazione del dipartimento della Giustizia minorile, che ha coinvolto 1874 ragazzi tra gli 11 e i 19 anni, il 28,2% di scuola media e il 71,8% delle superiori, di 20 province italiane, oltre un terzo dei ragazzi è convinto che i contenuti postati sui social siano visibili esclusivamente dai destinatari.
“I dati non mi meravigliano affatto, anzi…”, commenta con l’Agi lo psichiatra Paolo Crepet, convinto che, se i ragazzi non conoscono i social e i rischi di questi strumenti la colpa è della scuola che non lo insegna. “Questo è il vero problema. Io non capisco perché non se ne parli nelle scuole. Non è mica il diavolo”.
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Il cellulare e il mondo dei social network viene visto come qualcosa di estraneo ai banchi di scuola, ma “non è così: lontano sarà il latino. I ragazzi trascorrono 10 ore al giorno con il telefonino in mano. E’ la realtà di oggi. E non serve essere Marconi per capirlo. Mi meraviglio molto che la scuola non se ne occupi”, dichiara Crepet, che giudica ormai “finito” il mondo dell’istruzione. “In aula non si fa più nulla. Sono dei luoghi finti. Anche le materie classiche vengono insegnate in modo superficiale. Per non parlare delle lingue: nessun ragazzo alla fine del liceo conosce l’inglese, se non in modo maccheronico”. E lo stesso, sostiene Crepet, vale per i social network: “Gli insegnanti stessi non sanno come funzionano. Come possono insegnare ciò che ignorano?”, chiede provocatoriamente.
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