I laureati Dams non potranno più insegnare educazione musicale? La risposta dell’esperto
Da un’attenta scorsa di tutte le tabelle allegate, nelle parti riferite agli insegnamenti musicali secondari di I e II grado (liceo musicale prevalentemente), si evince che l’accorpamento in unica classe da lei richiamato mantiene però nella successiva suddivisione in sottoclassi la differenziazione nei più tradizionali insegnamenti e – pertanto si dovrebbe supporre – in relative competenze diversamente da attribuirsi.
La problematica che lei segnala investirebbe peraltro – non l’ha notata nel suo stesso interesse? – ancor più la questione della liceale Storia della musica, accorpata in classe unica con la Teoria, analisi e composizione, ma poi scissa in sottoclassi; e lì invece con la chiara previsione di un diverso background formativo del docente – forse discutibile ma chiaramente differenziato.
In effetti però la questione da lei richiamata sembra però mantenersi per un’assenza di previsioni circa l’effettiva validità abilitante del titolo musicologico per l’accesso, da solo, all’insegnamento musicale di base. E allora ci costringe ad argomentazioni ben più ampie, nel volerla meglio chiarire. Ci provo.
Innanzitutto va rilevato come per l’insegnamento strumentale – a sua volta ulteriormente ripartito nelle specifiche specialità strumentali (Pianoforte, Violino, Flauto, Arpa, Tromba, etc. etc.) – non si sia ancora affermato un autonomo criterio abilitante rispetto quello ben più validato nel tempo dell’insegnamento dell’Educazione musicale (adesso più lapidariamente Musica – e chissà in base a quali “rinnovati” indirizzi politico-culturali). Un esempio di tali incertezze lo si poteva già riscontrare nelle oramai trascorse sessioni abilitanti conservatoriali di Didattica della musica, rivolte in contemporanea sia all’Educazione musicale che allo Strumento: stesse discipline più o meno, salvo una maggior presenza di studio strumentale affidata a docenti di strumento esterni al dipartimento di Didattica; e qualche materiucola, più o meno inventata al momento, per compensare in parallelo l’aspetto quantitativo previsto per l’Educazione musicale.
La questione richiamerebbe dunque, nello specifico, le competenze dei docenti dello stesso dipartimento di Didattica della musica: oramai votati alla “tuttologia”, pur di mantenere le loro cattedre in questo rivolgimento istituzionale di impianti formativi e di competenze. E d’altronde nel nostro Paese, purtroppo, la cura di queste ultime non è messa certamente al centro dell’interesse politico-culturale e sociale …
Inoltre ci si dovrebbe anche domandare come verrà gestita la didattica a livello universitario, in questo specifico ramo. Dato che, allo stato attuale, si assiste ad un blocco, conseguente al venir meno dell’esperienza delle Ssis, in cui erano compresenti per forza di cose le due componenti didattiche – l’accademica conservatoriale prevalentemente tecnico-pratica e l’universitaria prevalentemente umanistico-letteraria. Sia nella docenza che nella discenza: con docenti provenienti sia dal conservatorio che dall’università e con studenti sia con diploma conservatoriale sia con laurea dams . Anche se talora non ben amalgamati tra loro anche a causa della concorrenza istituzionale a cui sembrano rigidamente votati. Mancando sin dall’origine la volontà politico-culturale della corporazione universitaria di integrarsi con quella accademica dell’Afam.
E la problematica, in sé solo apparentemente poco rilevante, richiamerebbe adesso in grande la questione qualitativa della stessa esperienza delle Siss, azzerata senza che se ne traesse un serio spunto costruttivo!
Il fatto è che, anche in questo campo, l’ingegneria politico-istituzionale si sta muovendo con non poche contraddizioni di fondo. Ma tutte leggibili più chiaramente nell’ottica degli interessi in gioco: se a te, facoltà universitaria specifica, sottraggo un biennio specialistico di strategica importanza quantitativa, come quello didattico, statuendo giustamente che a questo si accede dopo il triennio di formazione specialistica di base (nella trascorsa fase in questo percorso erano difatti richiesti 3+2+2 = 7 anni di studio per l’accesso da abilitati all’insegnamento, mentre lo standard di specializzazione richiesto a livello europeo sempre era di un 3+2), tu alzerai gli scudi perché ne va della tua stessa sopravvivenza.
E così al momento, non sussistendo altro che visioni corporative sul tema, la questione della didattica universitaria (esiste ed è mai esistita ad un livello autonomamente riconoscibile, tranne che nei Dipartimenti di Scienze della formazione?) tarda a chiarirsi e a decollare nell’ottica delle nuove lauree di secondo livello di specializzazione didattica. E la questione, fin troppo reiterata, del TFA sembra costituire la solita “parola d’ordine”, di copertura della reale entità dei problemi e delle questioni in ballo: difatti il tirocinio formativo si praticava già nell’intero biennio della Ssis, anche grazie ad una nutrita presenza – anzi forse fin troppo, a scapito di altre –di discipline pedagogiche e metodologiche …
All’interno di queste capitali questioni si inserisce la sua, al confronto minuscola ma adesso così meglio impostabile: la laurea musicologica (o Dams, che dir si voglia) di primo livello permetterà di accedere ad un successivo percorso abilitante, succedaneo a quello delle Siss? La recentissima equipollenza dei diplomi accademico-conservatoriali proprio con questi titoli di studio universitari farebbe credere di si. E dunque le problematiche da lei riferite – nell’interesse dei docenti a tempo determinato di musica con sola laurea Dams – farebbero solo riferimento al diritto transitorio; nella nostra attuale italietta delle corporazioni e delle lobby, ahimè spesso votato … all’eternità.
Però, se fosse vero che la classe politica improvvisamente voglia votarsi alla meritocrazia e dunque al risalto delle competenze, ci si dovrebbe preliminarmente chiedere se un laureato musicologo, nel caso si trovasse digiuno di formazione e specifica intelligenza musicale, e pure un musicista diplomato, se digiuno di una buona cultura generale e di rilievo musicologico, fossero adatti ad affrontare un percorso abilitante all’insegnamento. Si scoprirebbe forse che tra costoro non son pochi coloro che – nelle carenze di sistema formativo – si sono sobbarcati più o meno auto-didatticamente il carico di integrare il superamento delle dette carenze istituzionali.
Ma questo oramai non basta più: le ragioni correnti, cronachistiche, della storia del nostro paese per come integrato nella nazione europea, ci dicono quanto sia innaturale la separazione tra i musicisti del conservatorio e i musicologi delle facoltà di lettere. Tutto il resto serve solo ai distruttivi interessi di parte. Mario Musumeci