I media digitali incidono negativamente sullo sviluppo del cervello di bambini e ragazzi. La notizia non è certo nuova, ma ha fatto molto bene Riccardo Iacona a riprenderla e ad occuparsene nell’ultima puntata del programma televisivo Presa diretta. Un intero servizio, La scatola nera è stato dedicato ad una imponente ricerca che va sotto il nome di The Adolescent Brain Cognitive Development℠ Study (ABCD Study) e che ha nell’Università di Tulsa, in Oklaoma, uno dei suoi centri più importanti. Il direttore scientifico del Laureate Institute for Brain Research, lo psichiatra Martin Paulus, intervistato dalla giornalista, spiega cosa accade nel cervello di un bambino che passa molte ore al giorno di fronte allo schermo di un media digitale. La diagnostica per immagini aiuta a comprendere il mutamento che avviene nello sviluppo cerebrale: si crea una sorta di disallineamento tra le aree adibite alla funzione visiva, che si sviluppano oltre il dovuto e quelle adibite alla formulazione dei giudizi su di sé e sul mondo (la corteccia prefrontale ventromediale), che, invece, hanno uno sviluppo inferiore a quello medio. Si crea quindi uno squilibrio, dal quale, secondo lo psichiatra, deriverebbero nel bambino reazioni di rabbia, di irrequietezza, di depressione. L’ ABCD Study non è certo la prima ricerca che va in tal senso. Ci limitiamo a un paio di autorevoli citazioni, che attestano che gli effetti negativi di Internet sul cervello, in particolare, dei più giovani non sono un’invenzione da apprendisti stregoni che odiano tutto ciò che è nuovo. La prima riguarda uno studio, pubblicato nel 2019 su Word Psychiatry e condotto da un gruppo internazionale di scienziati. L’impressione che si ha, leggendo l’articolo ricavato dalla ricerca, è che gli effetti negativi dell’uso di Internet superino quelli positivi. “I fornitori di servizi educativi stanno già iniziando a percepire gli effetti negativi di Internet sull’attenzione dei bambini; oltre l’85% degli insegnanti è pronto a sostenere che “le tecnologie digitali odierne stanno creando una generazione che si distrae facilmente”.
Una indagine decisamente anteriore (2009) metteva in luce come chi fa un uso “pesante” del multitasking attraverso i media ottenga paradossalmente risultati peggiori, in un test di cambio attività, rispetto a chi ne fa un uso “leggero”. Che l’abuso di Internet diminuisca la capacità di concentrazione e la memoria è un dato ricorrente nei vari studi; vogliamo ricordare almeno un testo del neuropsichiatra Manfred Spitzer, Demenza digitale, apparso una decina di anni fa ma più che mai attuale. Anche Spitzer, come i ricercatori dell’ ABCD Study, dà sostegno alle sue tesi attraverso l’utilizzo della diagnostica per immagini (risonanza magnetica e risonanza magnetica funzionale); inequivocabilmente alcune aree del cervello si sviluppano meno di altre attraverso l’uso dei media digitali ed è ormai possibile mostrare gli effetti neuronali dei processi cognitivi. Spitzer lancia un grido d’allarme: l’uso dei media digitali, soprattutto se precoce, incide negativamente sullo sviluppo cerebrale dei bambini e sulla loro capacità di apprendimento. Va da sé che queste affermazioni, così in contrasto con la comune accettazione dei device, sono ampiamente discusse e dimostrate nel saggio di Spitzer, del quale raccomandiamo la lettura a chi non lo conoscesse. Non esistono, invece, studi scientifici che dimostrino che l’uso precoce dei media digitali migliori la capacità di studio e lo sviluppo mentale dei più piccoli. E nemmeno dei più grandi. Ricordiamoci: non è il caso di far spallucce, si tratta dei nostri figli! Cito ancora Spitzer, che ricorda come disturbi dell’attenzione, dislessia, isolamento sociale siano direttamente collegabili all’uso dei media digitali.
Nel momento in cui la “scuola 4.0” si sta realizzando, nutrita da una fiumana lutulenta di denaro che andrà ad arricchire chi produce media digitali e propone “spazi di apprendimento innovativi” chiavi in mano (qui un esempio) , il fatto che dalle scuole non si sia levato un potente grido d’allarme, anche a partire dalle ricerche ormai pluridecennali sull’effetto dannoso di un uso intensivo di Internet e media digitali da parte di bambini e adolescenti, ci sembra il segno chiaro dell’arretratezza culturale dei docenti rispetto a qualcosa che non contestano o per stanchezza o per ignavia o per ignoranza o, peggio, per timore di apparire retrogradi e ostili al progresso. E non serve nemmeno a far muovere un apatico ceto docente il fatto che la scuola 4.0 sia la negazione stessa di ogni libertà di insegnamento (verranno imposti mezzi, metodi, ambienti, metodologie didattiche); non è stato motivo per cento, mille, diecimila mozioni dei collegi docenti l’evidente superficialità che spinge i burocrati ministeriali ad indicare una soluzione tecnocratica per rispondere ad una clamorosa crisi educativa, di cui la cronaca (nera) ci dà notizia quotidianamente. A fronte di questa mancanza di protesta e assenza di capacità critica da parte dei professionisti della scuola non vogliamo però disperarci.
Esortiamo i docenti – e soprattutto quelli della primaria – ad informarsi, a valutare l’invasività dei media digitali nella vita dei più piccoli come l’elemento pericoloso che è, a trovare buoni argomenti da contrapporre a chi vorrebbe “usare con intelligenza” mezzi che, soprattutto nell’infanzia e nella prima adolescenza, dovrebbero invece essere dosati in maniera omeopatica o addirittura messi al bando. Inoltre, la forte obsolescenza degli strumenti digitali farà sì che, tra pochi anni, quelli acquistati con i fondi del PNRR appariranno superati. Vogliamo proprio fare come con le LIM? Le quali, addirittura, vennero considerate superate appena acquistate. Riportiamo un passaggio da La buona scuola: «Il processo di digitalizzazione della scuola è stato troppo lento, non solo per mancanza di risorse pubbliche. Abbiamo anche investito in tecnologie troppo “pesanti”, come le Lim, che hanno da una parte ipotecato l’uso delle nostre risorse per innovare la didattica, dall’altra parzialmente “ingombrato” le nostre classi, spaventando alcuni docenti». Era il 2014! Le Lim verranno poi ufficialmente rottamate nel 2022, sostituite con i monitor touch screen. Nel frattempo, una innovazione tecnologica dopo l’altra e una gran quantità di denaro investita già prima del PNRR, non ci risulta che gli indicatori che riguardano la qualità dell’apprendimento in Italia siano migliorati. Ci sembra chiaro: la via delle “tecnologie disabilitanti” (e cioè tecnologie che fanno perdere capacità – usiamo la bella definizione di Ivan Illich) non è quella giusta da percorrere nell’ambito complesso dell’educazione.