Siamo i “nastrini rossi docenti” il movimento spontaneo degli insegnanti stabilizzati con il piano straordinario di assunzioni della “Buona Scuola”, ma per questo, costretti ad occupare cattedre al nord del paese.
Non siamo un partito, non apparteniamo a schieramenti né di natura politica, né sindacale, apparteniamo semplicemente alla scuola, a quelle dei nostri territori, ai nostri alunni ed alla nostra gente.
Qui in Campania siamo circa 7000 ad aver subito la mobilità forzata che è seguita alle assunzioni della L.107/’15.
Sentiamo l’esigenza di denunciare una vera e propria questione meridionale mai risolta e di cui noi facciamo parte.
Molti di noi stanno vivendo per forza al nord ed ora, per questo, abbiamo ancora più consapevolezza delle diverse opportunità che gli alunni di uno stesso Stato vivono.
Le nostre regioni sono vittime di politiche fatte di tagli e privazioni ed ora si vuole ulteriormente “affossare” il sud smembrando le famiglie, privandolo di redditi, di cultura e dignità. Perché, costretti alla mobilità coatta al Nord, sono per la maggior parte docenti donne con un’età media di 45 anni, professioniste ben integrate con il tessuto sociale del mezzogiorno.
Noi vogliamo il riscatto delle nostre terre e la scuola è il primo luogo dal quale dobbiamo partire. Le Istituzioni hanno il dovere di concorrere a questo processo di rinascita.
Già da lungo tempo a supporto dei bambini e adolescenti in condizioni di deprivazione socio-culturale, ”Save the Children” afferma che la povertà educativa, cioè la mancanza delle competenze necessarie per uno sviluppo adeguato e per farsi strada nella vita, è una mina innescata sul futuro di milioni di bambini e adolescenti italiani.
Nel mezzogiorno una buona percentuale degli alunni risulta essere sotto la soglia minima di competenze, percentuale che raggiunge livelli alti fra i bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie con un basso livello socio-economico e culturale: povertà economica e povertà educativa, infatti, si alimentano reciprocamente e si trasmettono di generazione in generazione.
Notevoli sono le carenze di servizi e opportunità formative scolastiche nel Sud: infatti il 68% delle classi della scuola primaria non offre il tempo pieno, con punte estreme in Campania (84%), Sicilia (79%) e Calabria (78%).
Si invita a fare un’azione immediata coinvolgendo tutte le istituzioni impegnate nella tutela dei bambini nel nostro paese, perché dai dati emergono che i bambini e gli adolescenti in condizioni di deprivazione socio-culturale rivelano un fenomeno allarmante come la delinquenza minorile proliferata nei quartieri più disagiati del Sud Italia.
Le enormi diseguaglianze che oggi colpiscono i bambini del Sud Italia rispetto ai bambini del Nord Italia passa anche attraverso la durata del tempo scuola; la problematica va affrontata attivando subito un piano di contrasto alla povertà minorile, potenziando l’offerta formativa dell’istituzioni scolastiche della scuola primaria attraverso il tempo pieno.
Serve però uno sforzo comune e coordinato da parte delle istituzioni ad ogni livello e delle stesse comunità locali affinché l’impegno per sconfiggere la povertà educativa diventi prioritario nell’agenda del Governo”. Un esempio del tempo pieno è rappresentato nelle regioni del Nord che sono state così lungimiranti nel saperselo coltivare, individuando gli effetti immediati del beneficio che avrebbe avuto sulla società.
Il tempo pieno nella scuola primaria viene visto come un progetto educativo di forte valenza democratica, capace di riscattare sul piano culturale larghi strati della popolazione italiana, cioè di quei bambini che, a casa, non solo non avrebbero mai potuto usufruire di un’assistenza educativa per lo studio e i compiti, ma sarebbero stati privati anche dei canoni per una convivenza civile e democratica i soli capaci di riscattare per ogni individuo la libertà. Noi docenti del sud chiediamo al Governo non un progetto speciale o un intervento straordinario ma una riforma strutturale che porti al sud, soprattutto nei quartieri difficili, quello che in altre parti d’Italia è già la normalità: il tempo pieno a scuola».
Ci uniamo alle molte richieste già pervenute al Governo, ricordiamo l’appello di don Antonio Loffredo, parroco del Rione Sanità, uno dei quartieri più colpiti dalla guerra di camorra che a Napoli negli ultimi mesi conta già decine di vittime quasi tutte giovanissime.
Dopo l’omicidio di Genny Cesarano, di appena 17 anni, 15 parroci di Napoli hanno avviato un progetto per ascoltare le richieste delle donne e delle mamme dei quartieri più difficili della città.
«Lo sanno tutte – spiega don Antonio – che ci vuole il lavoro, che è la madre di ogni cosa, sanno che ci vuole la sicurezza e detto da certe persone fa capire come ora abbiano molto più rispetto della vita, ma soprattutto chiedono il tempo pieno a scuola». In effetti la Campania è in coda per il tempo pieno a scuola: i dati ufficiali del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca aggiornati a settembre 2014 indicano che nella regione solo il 7% delle classi sono a tempo pieno. «Trovo straordinario che le mamme di Napoli abbiano capito che è la scuola la salvezza dei loro figli» continua don Loffredo.
«Per questo l’impegno di noi parroci dei quartieri difficili di Napoli (Forcella, San Giovanni a Teduccio, Quartieri Spagnoli, Scampia) sarà di non disperdere queste energie e ottenere un intervento strutturale da parte del Governo. E’ Troppo semplice parlare di camorra, illegalità, incapacità di rispettare regole e leggi.
Lo Stato come tutela queste giovani vite? Chiudendo le porte della Scuola? Dandoli in pasto ad organizzazioni più organizzate dello Stato stesso.
BASTEREBBE VOLERLO, COORDINARSI E AMARE LE NOSTRE MERAVIGLIOSE TERRE.
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