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I numeri del cambiamento della “scuola 2.0”

Maria Letizia Melina, direttore generale Studi, statistica e sistemi informativi del Miur, illustra all’agenzia Dire i risultati della rivoluzione digitale
Dice infatti il direttore Melina: “Le scelte all’origine del Pnsd sono oggi chiare e facilmente semplificabili. l’incremento delle dotazioni, il portare l’innovazione in classe (appunto, dal laboratorio alla classe), il focus sugli ambienti di apprendimento (con strumenti nuovi come la Lim che incidono su spazi e tempi) e l’accompagnamento di tutte le dotazioni con le formazioni dedicate”.
Nel 2009 si decise quindi di agire su 3 livelli e diffusioni: “Tutte le scuole con dotazioni di classe (Lim); poche scuole con la creazione di Classi 2.0; pochissime scuole con la creazione di Scuole 2.0. L’idea e la filosofia alla base era di contagiare e innescare una trasformazione grazie alla semina dell’innovazione e su questo le scuole hanno reagito in maniera veramente molteplice, mettendo in campo tutte le variabili che spesso ci fanno dire che la realtà scolastica italiana è a macchia di leopardo”. In sostanza, il Pnsd si reggeva su una strategia di diffusione mista: “Bottom up, finanziando il rinnovamento dal basso con Classi 2.0 e Scuola 2.0, e top down, guidando il rinnovamento con politiche dall’alto come editoria digitale, Lim e libri di testo”.
Il Piano nazionale scuola digitale, aggiunge Melina, è oggi “sicuramente ad una svolta di maturità. Vale a dire il passaggio dal livello sperimentale alla messa a sistema delle numerose azioni e dei finanziamenti che, nelle intenzioni originarie, dovevano costituire la spinta all’innovazione. La novità del presente- aggiunge l’esperta- sta proprio nell’indirizzo che il Dl 104/2013 (c.d. Decreto Istruzione riparte) e il Dm 781 del 27/09/2013 (c.d. Decreto sui libri di testo) in qualche maniera disegnano. Anche quando non si parla esplicitamente di scelte tecnologiche, comunque, viene dato un forte impulso all’innovazione didattica”.
Qui “mi sia permessa una digressione importante per capire le basi da cui ripartire con nuovo e più slancio- continua Melina- se intendiamo le tecnologie come la chiave di accesso alla trasformazione metodologica rischiamo di prendere un abbaglio. Oggi l’idea di scuola concepita da dirigenti, docenti, collegi innovatori delle scuole coinvolte nel Pnsd, e che si impone a livello di sistema, è quella che agisce sulle tre gambe della trasformazione: la didattica, l’organizzazione e le tecnologie. Pensare in chiave deterministica che il digitale da solo basti- sottolinea- significa spostare l’obiettivo fuori fuoco”.
Parafrasare lo slogan del decreto legge ‘Riparte il digitale’ significa dire “mettere a fattor comune risorse umane, investimenti ed esperienze del Pnsd secondo un’ottica attuale per cui se è vero che non si può inseguire l’aggiornamento continuo e l’obsolescenza degli strumenti, non si può non considerare il passaggio dalle Lim agli strumenti per la classe e dalle classi 2.0 alle scuole 2.0. Ecco perché fare Scuola 2.0 oggi non significa avere un tablet a testa, ma – i punti dell’Agenda digitale europea ci confortano – favorire la cultura dell’accesso ai dispositivi in un’ottica di interoperabilità nel web 2.0, ai contenuti (cultura dell’editoria digitale) e alla rete (anche nei termini della sicurezza on line e del preservare l’identità dei nostri minorenni). In una parola, all’istruzione!”.
Pertanto, “grazie ai nuovi provvedimenti normativi, all’avvento dell’Agenda digitale e alla valutazione e raccomandazione dell’Ocse, sono state tracciate tre linee di intervento: migliorare le infrastrutture di Information Communication Technology e la connessione nelle scuole; moltiplicare le opportunità di formazione dei docenti; favorire il ricorso alle risorse educative aperte. In conclusione, “il nuovo Pnsd affonda le sue radici nella considerazione che bisogna realizzare le condizioni necessarie e rimuovere gli ostacoli alla diffusione di una scuola in grado di formare cittadini capaci di usare le tecnologie in modo consapevole, per risolvere problemi reali e quindi per partecipare attivamente alla crescita culturale ed economica del Paese. Il tutto con un atteggiamento che non può non tener conto dei numerosi passi fatti in questa direzione- conclude Melina- con la necessità però di coinvolgere anche il più ampio numero di scuole e di uscire dai regimi di sperimentazione”.

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