Cominciamo col dire che contrattualmente la formazione risulta come un diritto-dovere.
E che il capo sesto del contratto tutt’ora vigente è uno dei paragrafi meno applicabili ed applicati. Perché è volutamente vago nel definire diritti e doveri; perché i fondi previsti non ci sono mai stati; perché il tempo ipoteticamente concesso per la formazione contrasta con l’impossibilità di sostituire il docente, e così via.
Nelle linee guida del 3 settembre si tenta un inversione di rotta, puntando soprattutto sulla formazione in servizio, il merito, le competenze dei docenti (comprese quelle digitali), le reti di scuole.
Onesti e saggi propositi, che però necessitano di una traduzione concreta.
Qualche idea, in pillole, saltando direttamente all’anno di prova del neoassunto.
La formazione dei neoassunti (della quale non c’è traccia nel documento) al momento è rappresentata da una serie di formalità con ricaduta molto debole sulla professionalità del docente. Inizia tardi, è gestita in modo difforme da regione a regione, per la parte “centralizzata” e online (in carico all’Indire) risulta spesso lontana dalle aspettative e poco produttiva. Il tutor assegnato nella scuola è di frequente una figura formale. Il Comitato di valutazione nella sede di servizio è un pro forma, ammettiamolo.
Caso anomalo, come sovente accade, il trentino. Quest’anno l’Iprase ha predisposto l’inizio della formazione per i circa 300 neoassunti prima dell’inizio delle attività didattiche, su piattaforma.
Si parte con un innovativo strumento di autovalutazione delle competenze del docente, il cui risultato (individuale) decide l’accesso a laboratori, per così dire, personalizzati sulle esigenze dell’insegnante. Così, il professore precario da dieci anni, avrà un percorso più adatto alle sue esigenze rispetto al collega meno esperto. Quello non avvezzo alle tecnologie, si vedrà proporre un’intensificazione delle attività in quell’ambito.
Tempismo, accoglienza, personalizzazione. La ricetta è pronta.
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