Sono passati 68 anni dalla mancata ratifica francese del CED, cioè di quel Trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa che oggi in molti invocano, vista la tragedia ucraina.
E pensare che fu firmato proprio a Parigi il 27 maggio 1952. L’Italia guidata da Alcide De Gasperi si spese molto per quel Trattato. E De Gasperi stesso, per poter seguire più da vicino l’iter e le varie discussioni, decise di assumere l’interim del ministero degli esteri.
Lo ricordiamo. In quel Trattato vi era una prima risposta ai drammi della seconda guerra mondiale, e solo un’Europa unita anche in termini di difesa comune sarebbe stata in grado di garantire la pace, al di là dei blocchi contrapposti e della opzione per l’alleanza occidentale.
Non bastava cioè la Nato, ma era l’Europa in primis che doveva farsi carico del riequilibrio geopolitico.
Quante polemiche allora, che fanno da pendant a certe odierne discussioni.
Ricordo solo la lettera che lo stesso De Gasperi scrisse a Fanfani, cinque giorni prima della morte sopraggiunta il 19 agosto 1954, quindi quando non era più presidente del consiglio: “se le notizie che giungono dalla Francia sono vere, anche solo per metà, ritengo che la causa della CED sia perduta e ritardato di qualche lustro ogni avviamento dell’Unione Europea. Che una causa così decisiva e universale sia divenuta oggetto di contrattazione ministeriale proprio tra gruppi democratici e gruppi nazionalisti, che sognano ancora la gloria militare degli imperatori è veramente spettacolo desolante e di triste presagio per l’avvenire”.
Pochi giorni dopo, il 30 agosto, il parlamento francese affossava definitivamente il sogno di una politica estera e di difesa comune.
Allora, non restava che la strada economico-commerciale come apripista di un mercato comune che poi si sarebbe convertito in Comunità Economica e quindi nell’attuale Unione Europea.
De Gasperi non prevedeva il Trattato di difesa comune come reincarnazione della “guerra giusta”, ma come pilastro, per il diritto alla legittima difesa, e come strumento dunque di una pace duratura. Dunque il diritto alla legittima difesa come parte integrante di una politica in positivo, cioè di cooperazione.
Ora, l’Unione Europea ha espresso in diversi modi una posizione comune, a parte la variante ungherese, nei confronti della tragedia ucraina. Ma ancora non è stata capace di darsi una voce unitaria. Comprese le decisioni di politica estera.
Pensiamo alla scelta del riarmo tedesco che è stata presa senza seguire un percorso unitario, ma solo come linea politica nazionale.
Ma la storia cammina, a volte fa anche con decisivi balzi in avanti.
Perché questa è la lettura che dobbiamo dare al tempo che stiamo vivendo.
E, in un contesto globale che vedrà l’asse geopolitico spostarsi verso l’estremo oriente, ai Paesi europei non resta che l’unificazione, se non vogliono diventare nei fatti interlocutori sempre meno significanti, e quindi suscettibili di nuove forme di colonialismo.
Pensiamo alle carte geografiche usate nelle stesse scuole americane. Con al centro non più l’Atlantico, ma il Pacifico.
E dove troviamo il nostro vecchio continente in queste nuove carte, se non come appendice dell’Asia?
Ora, pragmaticamente, visto l’handicap della unanimità all’interno dell’UE, i Paesi più grandi di questa nostra UE saranno, prima o poi, costretti a sedersi attorno ad un tavolo. Penso a Italia, Spagna, Germania e Francia. E darsi un percorso comune che porti ad una rivisitazione delle istituzioni e delle strategie comuni. Perché, anche in questo caso, non ci si salva da soli, ma assieme.
Come già per l’euro, oggi adottato da non tutti i paesi dell’UE (19 su 27), i Paesi più grandi devono, cioè non possono non, assumersi la responsabilità di iniziare un nuovo percorso comune.
Memori, infine, di una pratica che sta, in questo frangente storico, avendo il sopravvento, come forma di governo politico, cioè l’autocrazia, che è una forma di autoritarismo plebiscitario che già abbiamo conosciuto nel ‘900 nelle grandi forma dittatoriali.
Per cui, non tanto sullo sfondo, resta la responsabilità di un rimando a valori e principi che non possono rimanere solo parole, o maschere di un diffuso modo nichilistico di vivere.
L’Occidente, cioè, non ha ancora perso l’anima, quella si è manifestata in diverse forme, ma che ha creato quella società aperta che oggi conosciamo. A volte una società ammaccata, complicata, ma, come per l’aria che respiriamo, l’unica che ci consente di respirare a pieni polmoni, cioè in libertà.