Categorie: Politica scolastica

I precari della II fascia e il NO di Adida alla Buona scuola

Quando una stagione si chiude, nel bene o nel male, si fa un bilancio e, non di rado, qualche elemento positivo è possibile raccoglierlo… Ma, per i precari della scuola, in particolare per i precari storici delle graduatorie d’istituto, come pure per il sistema scolastico in generale, questa premessa non è valida, date le linee politiche contenute nel DDL di riforma della scuola attualmente al vaglio del Parlamento.

Secondo l’opinione di molte, se non quasi tutte, componenti della scuola, questo disegno di legge non soltanto non permetterà alcun progresso, alcun miglioramento, neanche orientato semplicemente al buon senso per il sistema, ma opererà una regressione in ogni ambito, da quello gestionale a quello dell’organizzazione, da quello della relazione a quello pedagogico, grazie ad un taglio aziendalistico inappropriato e insensato, per un’istituzione democratica e fondante quale è la scuola definita dalla nostra Costituzione.

Non entriamo nel merito dei Disegno di legge, di cui sappiamo ormai quasi tutto, tutto quel poco che c’è scritto, visto l’abnorme ricorso alle deleghe che il Governo si è garantito, e che minacciano ulteriori disastri e cataclismi. Restiamo, piuttosto, sul piano degli slogan demagogici che vorrebbero siano “premiati” gli insegnanti secondo criteri fumosi di “merito” e “volontà”. Proclami molto simili al “bastone e carota” di Monti e Profumo, sulla linea di un disconoscimento e di una svalutazione della figura del docente che si perpetra da anni e che si ripercuote pesantemente sull’intero sistema, oltre che sulla sfera professionale a sulla sua ricaduta istituzionale.

Oltre alle nefaste prospettive introdotte in questi giorni, che vanno nella direzione non della stabilizzazione dei precari, quanto verso la volontà politica di “licenziarli” in tronco, sui precari delle graduatorie d’istituto gravano le assurde modalità con le quali tutto ciò che li riguarda è stato affrontato finora.

Per i diplomati magistrali, in servizio da anni in modo legittimo e autorevole nelle scuole, rimane un’ iscrizione nella II fascia delle graduatorie d’istituto svalutata, dopo anni di sfruttamento, di negazione e di ostruzionismo istituzionale, nel silenzio del mondo politico e sindacale.

Una vicenda questa, conclusasi con una vittoria apparente, visto che il passato disconoscimento pesa come un macigno sulla carriera professionale di questi docenti, dopo anni di ricorsi respinti e che solo la spada di Damocle dell’Europa ha potuto imporre di sanare.

Secondo il DM 249 del 2010 i diplomati magistrali, già abilitati, avrebbero dovuto “riabilitarsi” per continuare a svolgere il loro lavoro nelle stesse condizioni in cui lo stavano svolgendo dal 2002. Invece, sono rimasti esclusi persino dalla possibilità di frequentare i Tfa e Percorsi Abilitanti Speciali, non per una questione di merito, come noi di Adida abbiamo sostenuto e rivendicato, sempre unici e soli nel deserto di una indifferenza assordante. Per i docenti diplomati magistrali le porte delle università sono rimaste chiuse, nonostante la loro disponibilità a vedere nei percorsi abilitanti una opportunità di aggiornamento e di riqualificazione, e questo perché la Conferenza dei Rettori li ha giudicati “indegni”, in barba ai decreti legge e alle disposizioni ministeriali, che nemmeno il MIUR ha saputo difendere.

Oggi, a seguito della sentenza che ha restituito il giusto valore a questo titolo, e una recente sentenza del Consiglio di Stato che ha ammesso i ricorrenti abilitati magistrali in GAE, il limbo della loro condizione è destinato a diventare oblio, vista non solamente l’incapacità del Governo e del Parlamento di assumersi le proprie responsabilità, rispetto a quanto subito da questi docenti per dodici anni, ma anche visto l’ostruzionismo burocratico degli uffici periferici nell’applicare le sentenze a loro favore e sempre ignorati da quanti dovrebbero gridare allo scandalo di quanto si sta verificando.

Per i docenti della secondaria, invece, dopo il “contentino” dei PAS, che ricordiamolo a tutti, è stato voluto per limitare le “probabili sentenze di condanna dell’Amministrazione a dare attuazione al D. Leg.vo 9/11/2007 n. 206 che, in esecuzione della direttiva comunitaria 2005/36 CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, fa discendere il riconoscimento dell’abilitazione anche all’effettivo svolgimento dell’attività professionale”(nota MIUR 8 maggio 2012), la beffa di una differenziazione in termini di punteggio del proprio titolo abilitante. Le tabelle di valutazione dei titoli per la costituzione delle graduatorie d’istituto, infatti, attribuiscono ben 30 punti a chi,dopo le imbarazzanti revisioni dei test preselettivi per l’accesso ai TFA della prima stagione, ha superato lo scoglio del numero chiuso, voluto non tanto per controllare il numero dei potenziali docenti e per testarne la preparazione, quanto il numero dei potenziali “problemi.” Legittima, infatti, la richiesta da parte di questi ultimi, dopo aver superato una prova di tipo concorsuale, la rivendicazione di ingresso in GAE, che invece sono state blindate arbitrariamente. Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori, utilizzato comunque senza l’obbligo di stabilizzazione, per garantire lo svolgimento regolare del servizio scolastico nazionale, in barba alla direttiva europea del 1999, contro lo sfruttamento del precariato sulla quale è stata per altro fatta chiarezza, con una recentissima sentenza che condanna l’Italia ad assumersi le proprie responsabilità nei confronti dei docenti sfruttati per anni ed anni. Ma per il MIUR, le direttive europee sono carta straccia, lette in modo distorto, solo a convenienza, quando si tratta di salvarsi dalle condanne, non per tutelare i cittadini, i propri dipendenti.

Ma ritorniamo agli abilitati PAS… Qualcuno sa che molti, moltissimi dei docenti che si sono abilitati con questi percorsi hanno superato le prove d’accesso dei TFA ma che, risultati idonei ma non in posizione utile, non sono potuti entrare? E perché il loro esito, una volta conseguita l’abilitazione in altro modo, non sarà valutato, perché non previsto, ai fini del punteggio in graduatoria?

E ancora, quale decisione poteva essere presa, in assenza di una chiarezza iniziale, senza che questo oggi si ritorca come un boomerang? Nello specifico, la carta dei PAS, è stata giocata non perché vista come una scorciatoia, ma perché nel caos che ormai caratterizza da anni questo Paese, era la proposta dedicata ai docenti con servizio, un percorso parallelo ai TFA, normato dallo stesso decreto, con l’unica differenza di non avere uno sbarramento iniziale, inadeguato e illogico per chi svolgeva la professione a pieno titolo da anni. Una sopravvalutazione dei test iniziali, a posteriori tra l’altro, era del tutto imprevedibile, alla luce dei fatti e del buon senso, soprattutto dietro la ammissioni dell’amministrazione che, ormai messa all’angolo dalle leggi dello Stato italiano e dalle normative europee, non poteva che rispettarle e applicarle.

In maniera del tutto arbitraria, quindi, e stata alimentata una logica del merito che fa acqua da tutte le parti, applicata a comodo, strumentalmente e in modo incoerente, se si pensa che lo scaglionamento dei PAS, altra nota dolente, sulla quale nessun sindacato ha speso una sola parola, è stato operato solo sul servizio, senza tener conto dei titoli colturali dei docenti, senza regolamentare in senso univoco i numeri degli stessi scaglionamenti, lasciando arbitrariamente deciderne il criterio alle singole università, contribuendo così a creare distorsioni, stravolgendo le graduatorie reali. E cosa ancor più grave, viste poi le scelte politiche a riguardo, senza neanche tener conto del superamento dei test preselettivi di quanti li avevano sostenuti e superati brillantemente e che, oggi, sono la discriminante per affossare, ancora una volta, i docenti precari storici.

Che dire, poi, del criterio dei tre anni di servizio per l’accesso ai PAS che, sempre secondo la normativa europea, è requisito per il riconoscimento professionaletout court, sempre nella logica di proteggere il lavoratore dallo sfruttamento e dal disconoscimento ormai operato anche a livello di contratti pubblici. Per non parlare del requisito dei tre anni di servizio presso lo Stato, che sono requisito per la stabilizzazione, principio ampiamente disatteso dall’Amministrazione statale che ha mascherato i tagli nel settore scolastico con l’abuso di contratti a tempo determinato, pure in presenza di decine di migliaia di posti vacanti, occupati da personale assunto dalle graduatorie d’istituto, con gravi conseguenze sulla carriere del personale e sul sistema scolastico stesso.

I PAS sono stati pagati a caro prezzo, hanno foraggiato le università, che investite dal MIUR del ruolo di agenzie formative hanno a loro volta, in molti contesti, abusato persino del loro potere per continuare quella campagna di vessazione contro il personale precario della scuola verso il quale, per trent’anni, lo stato aveva sempre avuto un atteggiamento di compensazione e di restituzione, attuando dei percorsi abilitanti necessari a sanare una posizione generata unicamente da sistemi di formazione e di reclutamento scoordinati e inadeguati. Ricordiamo, solo a titolo di esempio, il mancato svolgimento dei concorsi per tredici anni, sebbene fosse stato fissato per legge che avrebbero dovuto avere cadenza annuale, e la gestione delle SISS (o SISIS) a numero chiuso, che non rispondevano elle reali esigenze del Paese in termini di posti messi a disposizione dalle università e di richiesta di personale da parte delle istituzioni scolastiche, determinando l’esigenza di attingere alle graduatorie d’istituto per coprire incarichi annuali di insegnamento.

Ma i sindacati non avrebbero dovuto tutelare i lavoratori? Ma i Ministri non giurano sulla Costituzione? E non è forse il lavoro uno dei diritti fondamentali, un principio inalienabile basilare per il benessere e la dignità personale? Certo, parlare di diritti, oggi come oggi, sa di ammuffito, di stantio, evocare la Costituzione appare quasi reazionario.

Noi di Adida, nauseati da quanto abbiamo dovuto gestire in questi anni, ma mai stanchi di ribadire quanto sosteniamo, riteniamo che le forze politiche coerenti e attive sul fronte della difesa dei diritti dei cittadini, adesso, non possano più nascondersi dietro ad un dito, né contribuire ad annientare o mettere sotto al tappeto i docenti precari. Ci siamo veramente stancati anche di ricorrere alla magistratura per poter vedere rispettati i nostri diritti, quei diritti che lo Stato dovrebbe onorare e non calpestare come sta facendo da anni a danno non solo dei precari ma dell’intero sistema scolastico italiano. Abbiamo anche tentato, in passato, di aprire una nuova stagione di dialogo con il mondo politico, ben sapendo che, in quest’ordine delle cose, le migliaia di docenti che si rivolgono a noi sono un interessante bacino di consenso. Ma le nostre istanze sono cadute nel vuoto di interessi che nulla hanno a che vedere con la legittimità, il benessere sociale, il rispetto dei diritti dei lavoratori della scuola, il rispetto del valore istituzionale della scuola stessa e del ruolo del docenti, attribuito per contratto anche ad un docente precario assunto dalle graduatorie d’istituto. Oggi, non è più prorogabile l’impegno politico che porti anche all’attenzione dell’intera comunità il gioco efferato che si sta giocando sulla pelle dei docenti precari, da anni parcheggiati loro malgrado nelle graduatorie d’istituto e che hanno contribuito a formare generazioni di cittadini.

Ormai siamo certi che chi si impegnerà a sostenere le nostre legittime richieste, lo farà per coerenza e senso del diritto, dimostrando di condividere le richieste, non di “cavalcarle” allo scopo di raccogliere consenso, tanto è grave la situazione che si sta delineando per il futuro della scuola pubblica italiana. La crudezza di queste affermazioni deriva dalla stanchezza, certo, ma anche dalla convinzione che non si possa più proseguire una battaglia politica nelle aule dei tribunali, cosa questa che contribuisce per altro ad un enorme spreco di denaro pubblico.

La nostra energia, d’altro canto, non è diminuita in questi anni, non avendo più nulla da perdere. La dignità, quella, di certo non l’abbiamo persa, umana e professionale, e proprio su questa affonda le radici la nostra forza, nonostante i ripetuti attacchi e il tentativo pluriennale di farci svanire! Comunque, alla sordità del Governo e di molte delle forze politiche che determinano oggi le scelte, risponderemo con la forza della legittimità e del diritto, andando avanti ad oltranza, anche quando le sentenze dei tribunali saranno aggirate, come già sta accadendo, a colpi di norme e decreti. Giocheremo tutte le carte, se necessario continuando a ricorrere in Europa. Tanto, ormai, deprivati del riconoscimento professionale e del futuro, non abbiamo più nient’altro da perdere.

 

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