Categorie: Personale

I presidi alzano la voce per il contratto scaduto da quattro anni

A quasi quattro anni dalla scadenza del contratto di categoria, i presidi tornano a reclamare la necessità di giungere al suo rinnovo nel più breve tempo possibile. A farlo è l’Associazione nazionale dirigenti e alte professionalità della scuola attraverso una lettera firmata dal suo presidente, Giorgio Rembado, ed inviata l’8 ottobre direttamente ai responsabili del ministeri di competenza (Istruzione, Funzione pubblica ed Economia) e a Massimo Massella Ducci Teri, presidente dell’Aran (che conduce la trattativa per conto della parte pubblica). Il testo sembra voler riassumere le questioni più spinose, attorno a cui si è arenata la trattativa. Ma rappresenta anche una chiara richiesta alle parti pubbliche interessate ad assumersi le proprie responsabilità. In caso contrario, se non dovesse profilarsi uno sblocco della trattativa, “l’Anp sente il dovere di alzare la sua voce e di denunciare che, allo stato dei fatti, non esistono le condizioni minime perché si possa arrivare alla sottoscrizione del nuovo Ccnl“.
La situazione, in effetti, è abbastanza complessa. “Sono passati sette mesi dall’apertura del negoziato – si legge nella lettera di Rembado – e non è dato di intravedere alcuno spiraglio per una sua prossima conclusione: abbiamo atteso a lungo l’appuntamento al tavolo dell’Aran, nella speranza che l’occasione si rivelasse utile ad affrontare alcuni problemi di fondo, rimasti irrisolti nelle due precedenti tornate contrattuali“.
I punti su cui le parti sono lontani sono almeno tre: il potenziamento della funzione dirigenziale all’interno della scuola, che l’Anp chiede (ma non gli altri sindacati, in particolare la Flc-Cgil) sulla scorta dei profili dirigenziali delle altre amministrazioni pubbliche; gli attuali tre diversi livelli retributivi derivanti dalle diverse provenienze (presidi “storici”, ex-presidi incaricati, ex-docenti) che il sindacato delle alte professionalità vorrebbe superare a favore di una valutazione che guardi ai risultati raggiunti anche in base alla “complessità degli istituti affidati in direzione”; le differenza di trattamento economico cosiddetta “esterna, tramite l’allineamento della retribuzione accessoria della categoria a quella della seconda fascia dell’area I“.
Il problema è che, tranne per il primo punto, che rientra in un contesto puramente strategico-politico della scuola, gli ultimi due obiettivi sono al momento non perseguibili: considerando le già note difficoltà a reperire i finanziamenti per arretrati ed aumenti, le casse dello Stato non possono certo permettersi risorse aggiuntive così corpose.
E, come se non bastasse, i nodi da sciogliere sono anche altri: il primo è subentrato a seguito dell’immissione nei ruoli nell’ultimo triennio di circa 5.000 dirigenti; operazione di ricambio inevitabile, ma che ha fatto emergere la grave insufficienza dei fondi contrattuali regionali destinati ad assicurare alla categoria la retribuzione relativa alla parte variabile della posizione e al risultato. “Risorse calcolate – sottolinea il leader dell’Anp – su meno di 7.000 dirigenti, quali erano quelli in servizio nel 2007, oggi vanno suddivisi tra 10.000 unità di personale“.
Il sindacato trova, infine, particolarmente ingiusta la decisione di adottare per la Pa, attraverso l’ormai prossima sottoscrizione del Ccnl dell’area I, un significativo incremento dei livelli retributivi calcolato su una retribuzione accessoria più alta di quella dell’Area V: secondo Rembado questi dirigenti meritano sicuramente l’aumento, ma si tratterebbe di un’operazione che non potrà fare altro che ampliare ancora di più “la forbice retributiva tra le due aree dirigenziali, a tutto scapito dei dirigenti degli istituti scolastici confinati in una situazione ancora più ingiusta”. Praticamente impossibile dargli torto: mentre i colleghi di settore, sempre della pubblica amministrazione, incassano un aumento sostanzioso, pur se sempre più legato a doppio filo ai risultati ottenuti, i dirigenti della scuola rimangono in attesa di un accordo di difficile compimento. Il tutto proprio mentre devono fare le acrobazie per riuscire ad amministrare gli istituti con dei finanziamenti pubblici ogni anno sempre più risicati e arretrati degli anni passati (in media oltre 100.000 euro ad istituto) che molto difficilmente verranno mai corrisposti.
 
Alessandro Giuliani

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