È troppo facile reputarsi bravi docenti quando la classe è composta da alunni bravi e diligenti. Tutt’altra cosa è insegnare bambini o ragazzi cosiddetti “difficili”, con famiglie problematiche o assenti. Come si comporterebbero in scuole di periferia, dove il rendimento delle classi è più che sotto alla media? Sicuramente dovrebbero faticare di più, ma se sono veramente in gamba alla fine chi meglio di loro riuscirebbe a tirar fuori il massimo da quei giovani più sfortunati?
Eppure, in tutti i sistemi scolastici del mondo i prof più bravi e preparati preferiscono o vengono sempre dirottati nelle scuole d’élite. Quelle dove, in definitiva, tutto scorre liscio.
Qualcosa però sta cambiando. Negli Stati Uniti, qualche giorno fa il presidente Obama ha detto che “ci sono troppi bambini in questo Paese che non ricevono l’insegnamento di qualità di cui hanno bisogno. E di solito gli educatori con meno esperienza finiscono nelle scuole più povere”. L’intenzione di Obama, espressa al segretario all’Educazione Arne Duncan e ad un gruppo di professori provenienti da scuole disagiate e impegnati nella battaglia per ridurre il gap tra distretti benestanti e quelli caratterizzati da basso reddito e alta densità di minoranze etniche, è quindi proprio quella di mettere in prima linea i docenti di prestigio: il Corriere della Sera riporta che negli USA si vuole “redistribuire gli insegnanti di maggior valore, in favore delle comunità svantaggiate, anche ricorrendo a incentivi. Il Dipartimento dell’Educazione progetta di spendere 4,2 milioni di dollari, per aiutare le autorità locali nell’impresa”.
I numeri, del resto, sono implacabili. E doppiamente crudeli, per i ragazzi che studiano negli USA, dove il rendimento scolastico dà diritto a sgravi e facilitazioni nel percorso formativo: “nelle scuole più povere, appena il 24% degli alunni supera il test di matematica del 4° grado, quello che dà diritto al pranzo a spese della scuola, contro il 50% nelle scuole dei distretti più ricchi. In generale, i ragazzi provenienti da famiglie a basso reddito hanno grosse difficoltà a completare il curriculum”.
Il progetto è molto più che un’ipotesi: “l’iniziativa della Casa Bianca, presa in forza dei poteri esecutivi del Presidente quindi senza dover passare al vaglio del Congresso, prevede anche la pubblicazione di profili degli insegnanti, incrociati con i distretti dove lavorano, in modo da mostrare dove i gap sono più profondi”.
Viene da chiedersi se un principio del genere possa essere importato anche in Italia. Come al solito servono soldi, quelli che il Governo statunitense avrebbe già stanziato per incentivare i prof migliori a spostarsi nelle scuole di “frontiera” e a mettersi in discussione. Ora, però, ammesso che vi siano i fondi, c’è in Italia questa predisposizione da parte dei nostri insegnanti? Forse non in tutti, ma in tanti sicuramente sarebbero più che disponibili. Per trovare nuovi stimoli, per accettare una sfida, per fare del bene a dei giovani che hanno bisogno di loro.
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