La scuola non è un ufficio di collocamento e i prof, otre a lavorare poco, sono ignoranti, superficiali, neghittosi e tutti i soldi, oltre il 97%, di cui dispone il Miur sono destinati solo per pagarli. Quante volte abbiamo sentito questa litania bugiarda da eminenti politici qualche ora dopo avere deciso tagli pesanti a cominciare dagli scatti di anzianità, dal blocco del contratto nella parte sia normativa e sia stipendiale, mentre l’inflazione macinava, e macina, il potere di acquisto?
Da qualche tempo però sembra che l’opinione pubblica e la stampa stiano ripensando queste accuse e così oggi sul Corriere della Sera si riconosce che in effetti, a guardar bene, i prof in Italia bene bene non sono trattati, anzi.
Intanto, scrive il prestigioso quotidiano, ogni anno «perdono» cinquemila euro rispetto ai loro colleghi europei e fra l’altro sono pure “maltrattati dalla politica che ad ogni cambio di ministro cambia le regole per questa categoria”.
Anche se lavorano in condizioni di grave penuria, quando non di emergenza, scrive sempre il Corriere, non è però vero che stiano in classi “pollaio”, considerato che “il rapporto tra docenti e studenti è di uno a 12, poco migliore della media europea”.
Che potrebbe essere vero, ma se dal computo non si considerano, come avviene per esempio in Germani, i docenti di sostegno, che gravitano con altro ministero, i conti non tornano e le nostre classi rimangono pollaio, al di là delle statistiche.
Rientra invece nella statistica, quella vera, il fatto che “negli ultimi cinque anni la scuola ha già «perso» un insegnante su dieci”, da 843 mila nel 2007 a 766 mila nel 2012, con “un taglio mai visto per la pubblica amministrazione”. Ma al contrario di quanto si possa immaginate mantengono un record in Europa: quello della vecchia. Il 62% di loro è infatti ultracinquantenne.
Se dunque, scrive il Corriere, si chiede alla gente quale lavoro vorrebbe per il figlio, solo “un italiano su cinque” protende per l’insegnamento.
Una professione dunque scartata a priori, uccisa quasi sul nascere e per la quale non vale la pena investire soldi per donarla ai figli come si fa coi Bot o l’eredità.
Ma gli insegnanti, si interroga il quotidiano, hanno autostima?
“Lo si vede bene da una recente indagine della Fondazione Agnelli su come si considerano i docenti entrati in ruolo nel triennio 2008-2010: forti nelle competenze disciplinari (per 9 su dieci la formazione è stata assolutamente adeguata); ma 7 su dieci dichiarano di sentirsi in difficoltà nel gestire classi sempre meno disciplinate (come dimostra la rilevazione Ocse-Pisa 2012: i quindicenni italiani sono scarsi in tutto salvo che nell’arrivare tardi o marinare la scuola) e quando viene il momento di confrontarsi con le famiglie. Strano? Per niente.
Il problema sta nella formazione iniziale: anche dopo riforme e controriforme i professori entrano in classe spesso senza una adeguata preparazione specifica sul fronte pedagogico, oltre che stremati dal precariato più lungo e confuso d’Europa”. E infatti per entrare in ruolo in Italia ci possono volere anche dieci-quindici anni e non sempre ci si riesce.
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