Il fenomeno delle baby gang a Napoli dilaga e addirittura appare in crescita, come dice la questura, e i ragazzini agiscono impuniti nelle strade e nelle piazze più frequentate.
Quasi tutti nati nei vicoli dei Quartieri spagnoli, si spostano a gruppi di una decina, hanno fra i 10 e i 16 anni e i genitori sono pregiudicati, in carcere o agli arresti domiciliari. Inoltre non escono mai senza coltello, pistola o almeno una fionda per spaventare i nemici. Molti fra loro non disdegnano la cocaina, né hanno remore a rapinare, se capita, perfino i familiari, gli anziani, i vicini di casa.
E nel giro di pochi anni in questi quartieri si è passati dalla guerra fra capi camorristi, per il monopolio dello spaccio di droga, la prostituzione, racket, traffico d’armi, alla proliferazione incontrollata di queste baby gang senza regole né capi indiscussi: un sorta di selvaggio far west. E nei vicoli infatti non comandano più i boss di camorra, ma le baby gang che spesso delinquono in loco con scippi, borseggi, aggressioni, ricatti e la sera spuntano come formiche.
Fra i capi delle baby gang, uno ha 14 anni e mezzo e dicono che sia spietato e inafferrabile, mentre un altro avrebbe commesso a quattro anni il primo furto.
Ma di fronte a tanto sfacelo sociale, raccontato da “Lettera 43”, come interviene la scuola? Chi si fa carico di portare questi ragazzini fra i banchi, considerata la latitanza delle famiglie? Ma ci chiediamo pure: che rapporti avranno questi “capetti” così spregiudicati nei confronti dei loro docenti, se hanno frequentato o frequentano ancora la scuola? E coi loro compagni? Quanti episodi di bullismo, e forse più, si verificherà ogni giorno nelle aule e nei corridoi delle istituzioni scolastiche soggette al loro vandalismo? Ma hanno colpe soggettive tali gang di bambini?
Responsabilità riconducibili alla loro natura “criminale” o alla educazione e agli esempi e ai modelli che hanno assunto qualche minuto dopo il primo vagito?
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