Esce, per Emil-Edizione, il terzo libro del nostro Pasquale Almirante. Dopo “Da Pasquale a Giorgio Almirante. Storia di una famiglia d’arte”, Marsilio, e “Il bandito e Margherita”, A&B Edizioni, in libreria da qualche giorno “I racconti del barbiere”, Emil Edizioni.
A tale scopo pubblichiamo la recensione di Carlo Anastasio, apparsa su La Sicilia di Catania
Pasquale Almirante manda Gesù Cristo a predicare sull’Etna, in uno dei suoi brevi racconti.
Potrebbe sembrare una forzatura da vangelo apocrifo, ma forse nell’alto dei cieli ne sorride anche il sunnominato “Signoruzzo” (come è chiamato nel racconto), sapendo che tutt’al più si tratta di un peccato – se peccato è – di troppo amore. Almirante ama così tanto la sua Sicilia da vederla come il cuore dell’universo mondo, cornice dunque più che degna per la buona novella. E ama ancora di più il suo paese, San Cono, il cuore del cuore del mondo. Senonché questo è un amore perennemente irrequieto: San Cono è per lui una piccola Itaca sicula e contadina, alla quale sempre ritorna e dalla quale è partito e sempre riparte, in un continuo movimento a pendolo, cercando l’ignoto al di là dell’orizzonte e al contrario il conforto, il rifugio totalmente noto, dei luoghi dell’infanzia.
I racconti, pubblicati prima su “La Sicilia” e ora raccolti in un libro – “I racconti del barbiere”, Emil Edizioni –, sono radicati indissolubilmente nella madreterra sanconese, anche quando succede che il protagonista sia William Shakespeare, oltre che il Redentore, oppure quando la narrazione è fiaba e introspezione con Giuditta e Sestessa.
E vi si trovano, a tratti, temi e sonorità di Verga, di Pirandello: donne calpestate dalla vita e talvolta ferocemente ribelli, astuzie di poveracci e protervie di potenti, paradossi divertenti e insieme amari, paragrafi aspri, riflessioni barocche. Ma non perché Almirante imiti o cerchi di emulare i grandi (e non ci sarebbe nulla di male), ma perché come ogni siciliano ha dentro di sé gli stessi potenti archetipi a cui loro, consapevoli o no, hanno attinto.
Il barbiere che dà il nome al libro è simbolicamente il medium, il tramite, fra le arcane profondità della percezione collettiva, del comune sentire di San Cono, e la loro manifestazione esplicita in forma di “cuntu”, di racconto. Mentre, nel suo salone al centro del paese, affronta con perizia artigiana e spirito combattivo zazzere arruffate e barbe ispide, più difficili da governare della campagna, il barbiere Peppe Lauria intrattiene i clienti raccontando vicende reali o inventate, tramandate da chissà quanti altri prima di lui, e che costituiscono episodi di una sorta di saga popolare.
Almirante riprende o rielabora alcuni “cunti” di questa saga e ne aggiunge altri creati da lui; creati tuttavia utilizzando le materie comuni della sua madreterra, e d’altra parte capaci di tenerla viva e di ulteriormente fecondarla per l’avvenire. In un circolo virtuoso, insomma, l’ispirazione che proviene dal genius loci produce attraverso la scrittura opere che lo alimentano.
E verso l’esterno è medium proprio Almirante, che si fa tramite fra il ricco humus delle sue origini e la curiosità di noi lettori. Così, espressa da lui mediante i racconti, la piccola Itaca sicula e contadina diventa potenzialmente comprensibile a tutti, e può arrivare anch’essa, viaggiando sulle sue parole, al di là dell’orizzonte.
CARLO ANASTASIO
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