“Non hanno un problema di relazione, ma solo delle difficoltà scolastiche, e soprattutto non hanno bisogno del sostegno avendo al di fuori della scuola una vita normale”. Questi bambini “diventano ‘Dsa’ a scuola – ha proseguito il dirigente – ad esempio davanti a un compito d’italiano o matematica a cui non riescono a dare risposte adeguate. Si tratta di un problema di prestazioni legato alle difficoltà di apprendimento e che, come tali, devono essere affrontate nella sede opportuna ovvero nella scuola”.
Il preside ha inoltre aggiunto: “Gli insegnanti devono essere capaci di adottare una metodologia d’intervento e una strategia precisa per affrontare al meglio il lavoro con i bimbini con Dsa, nelle diverse materie e sulla base delle particolarità di ogni soggetto”.
La formazione per i docenti “deve quindi prevedere un piano articolare sugli stili di apprendimento e i Dsa – ha spiegato – perché se il docente sa riconoscere lo stile di apprendimento allora ha già fatto il 50% del percorso”.
Infine, per quanto riguarda gli strumenti compensativi e dispensativi, “l’insegnante deve saper scegliere il materiale più idoneo e giusto per i bambini. Nella scuola primaria e secondaria, almeno fino in prima media – ha chiarito Sonnino – è meglio compensare che dispensare, per non precludere il confronto”.
Diverso il discorso per le Superiori, “in quanto con discipline più specifiche l’apprendimento diventa più complesso e in questo caso è possibile chiedere una dispensa”. In ogni caso, la possibilità di riconoscere i Dsa “già dalla seconda elementare dovrebbe poter consentire ai docenti di mettere a punto una strategia specifica per ogni bambino e accompagnarlo così nel percorso di studi. Questo – ha concluso il preside – vuol dire professionalità!”.
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