Nuovo appuntamento con la rubrica Scienze per la Scuola oggi parliamo delle difficoltà dei giovani nella scrittura.
Come la cometa di Halley, ma con ben maggior frequenza, sui nostri media ritorna periodicamente la questione dell’ignoranza delle nuove generazioni. Nella fattispecie, in scrittura. Nel 2017, ben 600 docenti universitari avevano inviato, sulla questione delle competenze di scrittura degli studenti italiani, un documento al Ministro dell’Istruzione, segnalando una vera e propria deriva culturale e auspicando su questo un intervento governativo adeguato. Fra questi, figurava il nome dell’attuale Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara.
Le conclusioni del progetto UniverS-ITA, condotto dagli atenei di Bologna, Macerata, Pisa e Perugia su più di duemila studenti universitari di diverse facoltà italiane, sono state del resto perentorie: i giovani universitari italiani dimostrano significative criticità nella capacità di scrittura formale. Di fronte ad un compito che prevedeva la produzione di testi con non più di 500 parole, sono riusciti a commettere diversi errori morfosintattici, di punteggiatura, di lessico, senza farsi mancare quelli ortografici. E hanno dimostrato una certa difficoltà nell’elaborazione di un pensiero complesso. Sembreremmo messi proprio male, allora.
Ma è vero? Il problema, cioè, riguarda in modo particolare i giovani universitari di oggi e non si riscontrava (o si sarebbe riscontrato meno) nei giovani di ieri? Dati alla mano, le cose non stanno proprio così: nel tempo, si è costantemente abbassato il tasso di analfabetismo (oggi vicino allo zero) e il tasso di analfabetismo funzionale, comunque, non sembra essere aumentato: anzi, secondo l’Isfol, negli ultimi venticinque anni, c’è stato un miglioramento del livello medio di competenze dei cittadini italiani. Inoltre, oggi ci sono molti più diplomati e laureati di ieri. Ancora: i giovani di oggi leggono più di quelli di ieri e, soprattutto, più degli adulti (lo conferma l’AIE, l’Associazione Italiana Editori). E scrivono anche di più. Insomma, se c’è un deficit (quantitativo/qualitativo) di scrittura, in realtà, non è cosa di oggi.
Il quesito posto all’inizio (“Perché i giovani di oggi in Italia non sanno più scrivere”?), pertanto, andrebbe semmai riformulato: “Perché, nonostante l’aumento complessivo del tasso di alfabetizzazione della popolazione e il consistente aumento della quantità di aggiornamento e formazione dei docenti, i giovani di oggi in Italia ancora non sanno scrivere?”
I motivi possono essere diversi. Ne elenchiamo qui alcuni (che riguardano, comunque, problemi soprattutto dell’oggi), ma la lista potrebbe certo allungarsi:
a) una minore esposizione degli studenti a compiti con risposte aperte e quindi a testi da strutturare sul piano linguistico;
c) l’uso in espansione della lingua inglese nella scuola (CLIL) e nell’università, con tesi di laurea e di dottorato scritte e discusse sempre più spesso in Inglese;
d) un inadeguato utilizzo del curricolo verticale, per cui non si sfruttano le possibilità di coordinamento fra gli insegnanti dei diversi ordini di scuola sugli obiettivi di apprendimento dei rispettivi segmenti.
Tuttavia, fra i motivi che ci appaiono più forti possiamo elencare i tre che seguono:
e) la sempre minore attenzione alla riflessione e al pensiero complesso e la tendenza ad una “masticazione” rapida delle miriadi di informazioni da cui si è giornalmente investiti, senza una loro effettiva “metabolizzazione”, senza cioè che tali informazioni si strutturino in effettive conoscenze nella mappa cognitiva delle nuove generazioni (e non solo di quelle); questo avviene già in entrata, con i pochi secondi statisticamente concessi al testo, al messaggio o al sito di turno, in fase di lettura; sono prevedibili i possibili effetti di tanta rapidità e superficialità di analisi, approfondimento ed elaborazione, poi, in uscita, cioè in fase espressiva e, in particolare, di scrittura;
f) una inadeguata formazione metalinguistica, che abitui gli studenti alla riflessione sulla lingua (vuol dire: grammatica, certamente, ma anche riflessione sui costrutti grammaticali e sulla loro interfaccia più importante: il pensiero, con le sue direzioni e sfumature);
g) programmi scolastici fitti di stimoli, sollecitazioni, progetti e quant’altro, che rischiano di togliere spazio ad alcuni “fondamentali” dell’apprendimento, come la lettura, la scrittura, la comprensione del testo, il ragionamento.
Occorrerebbe, insomma, esporre in modo ben maggiore i nostri allievi, fin da piccoli, a compiti (sfidanti) di lettura e di scrittura, di comprensione e di riflessione; attività che non sono esclusive e che si possono collegare quindi non solo a tutte quelle già previste (educazioni, espressioni alternative, progetti, ecc.), ma anche a tutte le discipline.
Altrimenti, il problema si perpetuerà e ci ritroveremo fra altri 10 o 20 anni a leggere titoloni allarmistici di giornali che accuseranno le malcapitate nuove generazioni del momento…di non sapere più scrivere.
V.: https://pagellapolitica.it/fact-checking/gli-analfabeti-funzionali-sono-gli-stessi-da-trentanni
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