Uno dei principali mali del nostro Millennio è la depressione, un fenomeno che qualche tempo fa era tipico della mezza età che adesso affligge, invece, soprattutto i ragazzi .
Recenti studi hanno infatti, evidenziato proprio come la categoria di persone attualmente più depresse siano i cosiddetti millenials, il cui malessere esistenziale si manifesterebbe principalmente sotto forma di depressione, isolamento sociale e in alcuni casi persino con tentativi di suicidio.
I motivi sono molteplici ed incrociati tra di loro.
Per avere un quadro più completo, parliamo di ragazzi e ragazze che si affacciano all’età adulta pieni di angoscia: confusi perduti, frustati. Si sentono depressi e inadeguati, in preda ad una forte ansia. In tanti casi sono sovra istruiti con laurea, master e certificazioni varie; traguardi raggiunti con la speranza della carriera e del successo che poi stenta ad arrivare. Per correre ai ripari affrontano percorsi di life-coaching, purificazione alimentari, diete specifiche, journalling (cioè la pratica formativa di scrivere le proprie sensazioni su un diario) arrivando anche agli anti-depressivi. Una epidemia di ansia che coglie i giovani abbiamo detto ma soprattutto le donne. Un recente studio denominato Pisa (Influential Programme for International Student assessment) dell’OCSE, svolto su 540 mila studenti di 15 anni in 72 Paesi diversi, ha rilevato che le ragazze inglesi sono quelle che più spesso saltano i pasti, si stressano per i compiti in classe fino a finire in ospedale per salute mentale.
Il problema parte da lontano ed in particolare in età scolastica. Bambini che crescono con l’ansia del voto e della prestazione fin dai primi anni di scuola elementare. Più di otto ore dentro un’aula, poi i compiti a casa. Nel mezzo tutti a fare sport dove però se non ti alleni non vieni convocato la domenica alla partita. Il bambino sente e soffre il fatto che non può fallire e quindi via di corsa a fare tutto e bene.
Mentre cresci, ti insegnano che se non otterrai certi voti non passerai gli esami e non potrai fare quella certa cosa, perciò cerchi costantemente di migliorarti. E così assorbi una pressione enorme.
Cresci con l’idea che l’università serve per forza, insieme ad un paio di Master pagati profumatamente e certificazioni di due o tre lingue.
Le scuole di oggi e la società in generale si aspettano che punti sempre al massimo dei voti; ma se non ci riesci, non ti forniscono nessuno strumento per gestire l’insoddisfazione. Questo è il grande problema. Manca la cultura della gestione della sconfitta.
Vai avanti e ti accorgi che tutti gli investimenti che hai fatto, sia economici che di impegno personale in anni di studio non ti portano necessariamente al successo e la carriera.
E allora entri nel vortice dello stress e della depressione.
“Passi anni ad accumulare titoli di studio e diplomi e alla fine ti accorgi che la ricompensa è diversissima da quello che ti avevano fatto credere. Non siamo adatti a questi ambienti di lavoro perché sono stati creati dalla generazione precedente, che ha come priorità fare soldi”. E’ il pensiero comune di tanti dei ragazzi di oggi.
Gli psicologi, da controaltare, parlano invece di ragazzi senza leadership, in cui l’eccesso della tecnologia e la cultura della gratificazione istantanea a tutti i costi, hanno creato una generazione prima dell’autostima necessaria e della forza per poter vivere sereni e con soddisfazione la propria vita.
In Italia lo stesso rapporto dell’OCSE parla di ragazzi secchioni, mediocri, ansiosi, simpatici.
I nostri ragazzi studiano troppo a casa, molto ma molto di più che in altri Paesi (il doppio che in Scandinavia), però “rendono” poco, piazzandosi solo al 34° posto (sotto la media Ocse) nel ranking mondiale della classifica Pisa.
In questo contesto il mondo “sempre connesso” di oggi non aiuta di certo. Oggi i ragazzi si trovano a vivere una vita superficiale, con valori morali più deboli rispetto alle precedenti generazioni, isolati spesso dal contesto in cui vivono.
È importante che genitori, docenti, formatori, istituzioni, esperti lavorino tutti insieme per trovare una modello culturale diverso, dove il bambino possa vivere serenamente i primi anni di scuola e possa diventare un adulto in grado di gestire la sconfitta e di vivere con serenità la propria vita, indipendentemente da quello che sarà il suo lavoro e le sue attività.
Non si può essere depressi a venti anni!
Per una volta invece di correre fermiamoci a riflettere.
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