Lizanne Foster è un’insegnante canadese di origini sudafricane che, nel 2015, ha acquisito una certa notorietà a livello internazionale per avere scritto e pubblicato sul suo blog una lettera di scuse indirizzata ai suoi alunni. La lunga lettera era strutturata per paragrafi, ciascuno dei quali iniziava con un “mi dispiace”: Mi dispiace che dobbiate venire a scuola così presto la mattina, anche se varie ricerche nel campo delle neuroscienze hanno appurato che il cervello degli adolescenti non funziona in modo ottimale prima delle dieci.
Mi dispiace che ogni giorno siate costretti a stare seduti per sei ore anche se molti studi hanno dimostrato che stare seduti troppo a lungo danneggia sia le capacità cognitive sia la salute.
Mi dispiace che siate costretti a usare dei libri di testo che contengono informazioni superate e troviate a scuola tecnologie obsolete della cui manutenzione nessuno si occupa.
E così via di seguito, sino al “mi dispiace” più pungente e corrosivo, che colpisce al cuore un sistema di insegnamento, i cui punti deboli – come si vede – sono uguali in tutte le latitudini:
quando gli studenti sono all’apice della loro attività intellettuale, quando sono più creativi, noi li blocchiamo e gli chiediamo di concentrarsi su problemi vecchi e già risolti. Sprechiamo così il loro potenziale e il loro tempo.
Non possiamo che condividere l’accorato sfogo della professoressa Foster e il suo appello ai docenti affinché non abbiano paura di fare un salto verso l’ignoto, di stimolare e favorire la creatività degli studenti, di prendersi cura di tutti e di ciascuno all’interno delle proprie classi.
A cinque anni di distanza, i “mi dispiace” della professoressa Foster potrebbero senz’altro essere ribaditi, punto per punto, anche qui da noi, in Italia, dato che poco è cambiato nell’idea di scuola veicolata dai decisori politici e dai governi che si sono succeduti negli ultimi decenni. Pensate alla monoliticità della struttura “classe”, all’impossibilità per gli studenti di scegliere materie opzionali e di tralasciarne altre, alla resistenza delle didattiche tradizionali fondate sulla lezione frontale accademica, al “layout” stesso della classe, sempre militarmente strutturato con il docente in testa e gli alunni di fronte allineati e coperti, alla lenta e inarrestabile deriva verso il “testing” e le certificazioni che orientano in tal senso la didattica.
Insomma, la ricetta appara chiara: formazione, formazione e ancora formazione. Ma non aspettiamo il grande piano nazionale illuminato, che probabilmente non arriverà mai. Ogni singola istituzione scolastica prenda il coraggio a due mani e faccia almeno un’incursione nelle terre ignote delle metodologie alternative. Così, tanto per vedere che succede. Formi i propri docenti, li renda facilitatori e coordinatori di attività, concepite in modo tale che gli alunni debbano necessariamente cooperare, analizzare problemi e trovare soluzioni. Diventando, in tal modo, davvero protagonisti del loro percorso di apprendimento.
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