Se ne parla da un po’ di tempo, adesso arrivano i dati ministeriali che lo confermano: gli istituti tecnici raccolgono sempre meno iscritti ogni anno.
Infatti, come riporta Il Sole24ore, nell’ultimo decennio, le scuole che formano i futuri geometri, ragionieri e periti nei campi della meccanica, elettronica, trasporti, chimica, tessile, hanno perso quasi 120mila studenti, 117.122 ragazzi per la precisione, toccando, nel 2016/2017, il minimo storico di appena 821.078 alunni (si pensi che a fine anni ’90 gli studenti iscritti “al tecnico” si attestavano intorno al milione).
Dal 2010, anno dell’ultima riforma, in poi, le scuole tecniche, suddivise in due macro-settori Economico e Tecnologico e 11 indirizzi, vengono scelte da meno un giovane su tre (30,5% del totale degli iscritti alle superiori).
Parallelamente però sono aumentate le iscrizioni nei licei, che ha visto 40mila unità in più negli ultimi dieci anni.
Si ricercano le motivazioni di questa impietosa flessione degli istituti tecnici, e senza dubbio esistono motivi pratici, come il numero esagerato di materie da studiare nel biennio comune (in classe si sta 32-33 ore a settimana, a seconda di come viene collocata l’ora di geografia economica, contro le 28 ore di un liceo, opzione scienze applicate).
Senza contare le lamentele da sempre presenti riguardanti i laboratori, poco presenti ed efficaci nei piani didattici, generando il paradosso dell’istruzione tecnica, che spesso fornisce un bagaglio culturale tecnico di spessore, propedeutico in molti casi agli studi universitari di ingegneria, ma che di “pratico” c’è ben poco, con i laboratori poco utilizzati e soprattutto non valorizzati a dovere.
Tuttavia, il crollo degli istituti tecnici è dovuta anche all’etichetta che da sempre si portano queste scuole, considerate di “serie B”, rispetto al liceo, da sempre il principe dell’istruzione superiore.
Ecco gli indirizzi in grossa perdita: dal 2010/2011 al 2016/2017, si legge ancora su Il Sole24ore, le iscrizioni al primo anno all’Elettronico-elettrotecnico sono passate dal 3,2% del totale iscritti alle superiori al 2,6% (una diminuzione del 20% circa – qui a pesare sono programmi un po’ datati e che mettono insieme specializzazioni diverse fra loro).
In discesa pure l’indirizzo Cat (ex geometri – dove peraltro è quasi sparito l’insegnamento del diritto); e quello Amministrazione, finanza, marketing (le iscrizioni si sono ridotte da 11,9% a 7,8%). Più o meno resistono gli indirizzi di Meccanica e Moda; in leggera crescita Informatica, Chimica e Trasporti.
Ma il problema nasce, come spesso accade, dalla politica e dalle istituzioni: la legge 107, nonostante la riforma dell’istruzione professionale, non la tiene in grande considerazione; Maria Chiara Carrozza, sull’onda della spending review, ha soppresso la cabina di regina ministeriale (la direzione generale per l’Istruzione tecnica).
Paghiamo inoltre il fatto che l’Italia resta l’unico paese al mondo a non avere una struttura interdipartimentale dedicata alle scuole tecniche e professionali, e al legame con imprese e territori.
Inoltre, questo gap incide sul tasso di disoccupazione giovanile complessivo, data la mancanza di politiche di indirizzo e di profili realmente idonei per le aziende.
“Non c’è dubbio che qualcosa si sia bloccato – ammette Fabrizio Proietti, dirigente del Miur che si occupa di istruzione tecnica -. Tuttavia l’offerta didattica resta valida: l’indirizzo Amministrazione, finanza e marketing, per esempio, contiene nel proprio curriculo tutte quelle competenze, dall’imprenditorialità al digitale, che Europa2020 ritiene strategiche. Certamente, va migliorato l’aspetto comunicativo”.
Anche Confindustria interviene in merito, e lo fa con toni un po’ preoccupati: “Siamo all’emergenza – ha tagliato corto il vice presidente per il Capitale umano di Confindustria, Giovanni Brugnoli -. Non riusciamo a trovare tecnici specializzati per le nostre aziende e nemmeno a coprire il turn-over dei prossimi anni. Dobbiamo certamente potenziare l’orientamento. Ma bisogna coinvolgere famiglie e docenti per far vedere loro quanta impresa c’è nel territorio, e quali opportunità riesce a offrire ai giovani preparati. Siamo il secondo Paese manifatturiero d’Europa, il settimo nel mondo. Dobbiamo fare in modo che tutti ne siano più consapevoli affinchè si acquisisca cultura industriale e coerenza di comportamenti. Basta dimenticarci dell’istruzione tecnica”.
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