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I ragazzi plusdotati che la scuola non valorizza. Intervista a Valeria Fazi (Aget)

Li chiamano ragazzi “plusdotati”, “iperdotati” o “superdotati”, sono cioè quei piccoli talenti che hanno un quoziente intellettivo sopra la media e un alto potenziale cognitivo. Sono curiosi, svegli, pieni di vita.

In Italia, però, non c’è ancora una procedura didattica specifica per seguirla, mentre all’estero tante istituzioni scolastiche adottano procedure particolari per valorizzarli. Infatti, in base a un rapporto europeo del 2005, l’Italia è l’unico Paese in Europa a non occuparsi in modo approfondito dei ragazzi plusdotati. 

Essere plusdotato è una questione genetica, ma crescere in una famiglia colta può essere d’aiuto.

Di solito i gifted children (cioè i ragazzi che portano un dono, un QI superiore a 125 mentre la media è 100) sanno già parlare bene a 2 anni con un lessico completo e avanzato o suonare uno strumento musicale a 4-5 anni. 

Essere un ragazzo plusdotato non è un disturbo, ma una dote e il Miur deve fare di più per non disperdere intelligenze come queste.

 

A La Tecnica della Scuola interviene Valeria Fazi, presidente di Aget Italia, associazione di genitori con ragazzi “plusdotati”, che a settembre parteciperà a Didacta, la più grande Fiera scolastica italiana

 

Quando è nata Aget Italia?

 

Aget Italia, con l’assetto attuale, è nata un anno fa. L’associazione però è attiva sin dal 2014. La sede è a Padova, il Veneto infatti è oggi la Regione Italiana più attenta e vicina ai bambini e ragazzi plusdotati. Abbiamo soci ovunque,  io stessa vivo e lavoro a Roma. Siamo un’associazione senza fini di lucro, l’unica in Italia di soli genitori di bambini ad alto potenziale cognitivo e plusdotati già certificati, cioè valutati da professionisti specializzati 

 

Chi sono i bambini “plusdotati”

 

Sono bambini con una intelligenza decisamente superiore alla media. Sono i cosiddetti “genietti”, termine che noi genitori non amiamo molto, ma rende l’idea: bambini precocissimi dal punto di vista cognitivo, che spesso leggono e scrivono ben prima di cominciare la scuola e che “pensano” in modo anche qualitativamente diverso. La scuola italiana non ha programmi appositi come invece avviene all’estero e il più delle volte non “vede” questi bambini.

Gli insegnanti non li riconoscono e questi ragazzini di solito in classe si annoiano mortalmente; alcuni manifestano insofferenza in vario modo. Non per caso questa loro marcia in più talvolta è scambiata per altro, iperattività ecc. All’estero, ovunque, la situazione è diversa: gli insegnanti ricevono una adeguata formazione in questo campo, i legislatori hanno previsto norme.

 

Qual è l’obiettivo dell’associazione?

Il principale obiettivo della nostra associazione è ottenere che la scuola si occupi istituzionalmente dei nostri bambini, che anche l’Italia li riconosca. Rappresentano il futuro, sono i “cervelli” di domani, ma non li sappiamo nemmeno riconoscere. Paradossalmente ci sono persino casi di dispersione scolastica: ragazzi geniali che non trovano un loro “posto” nella scuola e alla fine lasciano. Eppure non serve un impegno immenso. Si tratta, in primo luogo, di formare gli insegnanti affinché sappiano riconoscere i tratti distintivi dell’alto potenziale cognitivo;  poi bisogna elaborare dei programmi di arricchimento. L’ottica è inclusiva: non servono scuole speciali o classi dedicate; i nostri sono bambini come tutti gli altri, giocherelloni ecc., ma hanno un bisogno fortissimo di conoscere e approfondire, così come altri coetanei hanno necessità di tempi e metodi diversi per apprendere e capire. La scuola deve dare una risposta a tutti. Su questo concordano ormai tutti i soggetti in campo, compresa la ministra Valeria Fedeli.

 

Esiste un censimento dei bambini plusdotati? Siete in contatto anche con altre associazioni in Europa e nel mondo?

I bambini ad alto potenziale cognitivo – con un quoziente di intelligenza superiore a 120 – sono circa il 5 per cento della popolazione. Quelli plusdotati (QI superiore a 130) circa il 2 per cento. L’unica Regione ad avere disposto fondi per fare uno screening di primo livello e per formare gli insegnanti, qualche anno fa, è stata il Veneto. In Italia ci sono diverse associazioni scientifiche, composte da psicologi e/o neuropsichiatri infantili attive nell’effettuare le valutazioni e nel supportare, laddove necessario, anche il rapporto famiglia/scuola. Aget, pur operando principalmente in Italia, ha ormai una rete di contatti all’estero. Serve per condividere esperienze e partecipare a progetti di ricerca in Paesi in cui la plusdotazione è studiata ormai da moltissimi, anni. Anche i laboratori che abbiamo organizzato per i figli dei nostri iscritti, nella struttura, sono stati considerati sperimentali e hanno attirato l’attenzione di svariati centri di ricerca.

 

Perché si parla poco di bambini “plusdodati”. Paura o superficialità dei media?

 

In Italia questo è un mondo ancora poco conosciuto. Negli Usa ogni Stato ha una legislazione sui cosiddetti “gifted”, i bambini dotati. E “Gifted” è il titolo di un film, che sta per arrivare in Italia, dove si racconta la storia travagliata di una piccola plusdotata. Non so come sia il film, intendo solo sottolineare che all’estero la plusdotazione non è un tabù.  I media italiani – non tutti – tendono a mettere in evidenza gli aspetti più spettacolari dei nostri bambini, le abilità più sorprendenti, come la capacità di contare velocemente o di leggere con ritmi da adulti. Ma anche la stampa sta imparando che dietro queste grandi capacità talora si nascondono fragilità e comunque dei bisogni. Anche la stampa, piano piano, sta imparando che i nostri figli sono prima di tutto “bambini” e, in un secondo step, bambini con un dono particolare. Speriamo che presto l’attenzione sia volta principalmente a trovare un modo per dare risposta alle loro necessità. Fra l’altro si parla moltissimo dei cervelli italiani fuggiti all’estero, ma non si parla e non si fa nulla per riconoscere, sostenere e trattenere i cervelli che siedono oggi sui nostri banchi di scuola. L’alto potenziale cognitivo puo’ essere riconosciuto a partire dai 2 anni e mezzo, l’importanza della formazione dei docenti, quindi, parte dai docenti della scuola dell’infanzia fino a proseguire per ogni ordine e grado.

 

Quali sono i progetti futuri

La partecipazione a Didacta il 27 settembre riapre la stagione dei nostri appuntamenti, dopo la breve pausa estiva. Molta della nostra attività riguarda i laboratori: il sabato o la domenica organizziamo incontri ad alto livello per i nostri bambini sugli argomenti più diversi. Abbiamo collaborazioni con studiosi di istituti come il CIRA, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, con Frascati Scienza; abbiamo fatto diversi incontri su “Dante e i numeri” con il professor DeMartino che collabora con l’Accademia della Crusca, sull’archeologia con il prof Pavia esperto della Roma sotterranea… Per questi laboratori – che servono a dare uno “sfogo” ai nostri figli sempre assetati di conoscenza – abbiamo avuto partner importanti, come la PricewaterhouseCoopers, Sassi Editore… Organizziamo giornate di condivisione e studio della tematica per i genitori.

I genitori, infatti, a volte, non si sentono pronti per sostenere le domande sempre più approfondite dei figli; si ritrovano a fare discorsi da adulti con bambini in età prescolare o non sanno come affrontare alcuni argomenti. Questi sono solo esempi. Ma l’obiettivo numero uno è la scuola, perché è lì che si gioca la partita decisiva. Avvalendoci di primari esperti della materia, abbiamo fatto e continueremo a fare formazione e informazione ovunque ci chiamino. Nell’attesa fiduciosa che il tema plusdotazione entri con forza nell’agenza del Parlamento, del Miur e, per quel che riguarda le valutazioni, del ministero della Salute.

 

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Andrea Carlino

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