I risparmi ad oltranza sono stati un fallimento totale, per far ripartire la scuola serve una riforma
La politica del risparmio ad oltranza adottata negli ultimi otto anni nella scuola ha prodotto benefici economici limitati e un sensibile decremento nella qualità della formazione dei nostri alunni: per questo ‘la scuola deve ripartire’ il prima possibile. A sostenerlo è l’Anief, intervenendo oggi, 10 marzo, alla giornata di ascolto del mondo della Scuola promossa dal Partito Democratico presso la Sala delle Colonne a Roma.
Il sindacato sottolinea come la riduzione perpetrata negli ultimi otto anni di un sesto dell’orario settimanale scolastico e del personale, oltre che del 25% delle scuole autonome, non ha ridotto i livelli di dispersione scolastica o universitaria né ha potenziato i livelli di apprendimento degli studenti, a dispetto di insignificanti risparmi e addirittura di aumenti di spesa nella gestione dei supplenti (300 milioni di euro l’anno). Di contro, nello stesso periodo, è aumentato il numero dei Neet: giovani tra i 15 e 40 anni che né studiano né lavorano, concentrato specialmente nelle zone del Sud e delle Isole del Paese dove si concentra un depresso o inesistente tessuto economico (rapporto ABI-Censis), con stime che allontanano l’Italia dal raggiungimento degli obiettivi europei fissati per il 2020.
Pertanto, occorre attuare con urgenza una riforma che recuperi il valore sociale dell’istituzione, valorizzi la professionalità dei suoi educatori, abbatta il tasso di dispersione scolastica, potenzi l’alfabetizzazione scolastica e universitaria, colleghi la formazione al mondo del lavoro, sviluppi le potenzialità del territorio, assuma il ruolo di volano nell’economia del Paese.
“La parola d’ordine – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – è investire in termini di risorse, dopo un decennio di stasi, come avvenuto nei Paesi Ocde, al fine di liberare le energie e di attivare le sinergie necessarie in termini di organici, di programmi, di reclutamento che possano invertire il percorso appena tracciato”.
Sono diversi i punti presentati dall’Anief per rilanciare la scuola: ripristinare il tempo scuola esistente prima delle riforme Gelmini, riportare a 12mila il numero scuole autonome, riattivare il Fondo per il Miglioramento dell’offerta formativa senza i tagli draconiani dell’ultimo periodo, reintrodurre l’insegnante prevalente e specialista in lingua inglese nella primaria, ma anche istituire quello di attività motoria. Fondamentale è allungare l’obbligo scolastico a 18 anni, migliorare il collegamento della scuola con mondo del lavoro e università, riformare i centri dell’impiego e apprendistato, reintrodurre la figura del ricercatore a tempo indeterminato, adottare un piano sviluppo economico improntato attorno al patrimonio culturale.
A livello di personale scolastico, l’Anief ritiene impellente la necessità di una riforma dell’accesso e dell’uscita dalla professione che non può più tollerare la presenza di personale abilitato con TFA, PAS, idoneo al concorso in Italia o in Europa non inserito nei canali di reclutamento (GaE) o ancora di personale in servizio a tempo indeterminato che per il 60% è over 50, il doppio rispetto all’Ocse. Allo stesso modo non è più possibile prevedere l’assunzione di docenti e Ata che, dopo essere stati per tanto tempo discriminati rispetto alla direttiva 1999/70/CE, percepiscono per otto anni lo stesso stipendio, già del 4% inferiore all’inflazione certificata, e a fine carriera 8.000 euro in meno l’anno rispetto ai colleghi dei Paesi dell’Ocde.
L’Anief chiede quindi di rivedere l’assegnazione degli organici, facendo cadere le assegnazioni su parametri nazionali per fare spazio ad una armonica distribuzione in base alle esigenze del territorio (disoccupazione, dispersione, alloglotti). Il reclutamento dovrebbe poi avvenire su tutti posti vacanti e disponibili, eliminando le graduatorie provinciali per fare spazio ad una unica nazionale. Spazio anche a pensionamenti per gli over 60 o, per chi vuole rimanere, permettere loro di trasformare l’insegnamento in funzione tutoriali. E spazio anche alla formazione su lingue straniere e nuove tecnologie.
“Questi sono soltanto alcuni dei primi interventi che si rendono necessari, ma – continua Pacifico – che non possono essere svincolati da un’ulteriore riforma. Quella complessiva nazionale, che nell’affrontare il Job act ridefinisca il reclutamento per competenze e l’orientamento presso i centri per l’impiego, preveda l’adozione di un piano di sviluppo economico improntato intorno al patrimonio culturale e che abbia come corollario conseguente la riconversione del tessuto industriale, un diverso e pieno utilizzo dei fondi comunitari, la riscoperta della vocazione internazionale dell’Italia nel contesto mediterraneo, di ponte tra i mercati dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa, di vettore nei legami d’Oltreoceano con le Americhe, di partner in Oriente”