Singolare disamina di Galli della Loggia sul Corriere della Sera relativa al ruolo del sindacato della scuola che avrebbe soppiantato la scarsissima rappresentanza associativa dei docenti italiani. Infatti, pur avendo una consistenza numerica di circa 700mila docenti, non sono risusciti creare forme robuste di associazioni professionali, ricordiamo la Fnism per esempio, dentro le quali tutte le problematiche della categoria verrebbero fuori, risultando pure fonte di iniziative anche forti a loro sostegno e di informazione corretta per l’esterno.
“Il risultato- dice Galli della Loggia- è che in Italia qualunque discorso sulla scuola è destinato a non registrare mai l’opinione ufficiale e informata di coloro che in essa hanno il ruolo centrale. Degli unici che hanno l’esperienza diretta, degli unici che possono testimoniare circa le reali conseguenze dei provvedimenti che periodicamente calano su quelle aule dai cieli della politica”.
E se i prof sono virtualmente muti, la loro voce è passata ai sindacati della scuola, dentro cui si ritrovano tutte le figure: dai dirigenti, ai docenti, dal personale amministrativo ai tecnici ecc. e dove pure gravitano siano le scuole all’estero che le scuole pubbliche e private, le Università di qualunque tipo, le accademie, i conservatori, gli istituti di ricerca, gli istituti di formazione professionale.
E ciò, secondo il prof, è un danno perché i sindacalisti della scuola sanno di un solo argomento e solo ad esso sono interessati: assunzioni e retribuzioni e quindi per essi ogni politica scolastica si riduce di fatto a un’unica cosa: al livello delle retribuzioni e all’allargamento del numero degli addetti, precari o no che siano.
Ciò significa che questo loro ruolo li spinge a portare avanti da sempre l’idea che la progressione degli stipendi debba essere definita solo dall’anzianità, in nessun caso dal merito e ciò avrebbe, per l’articolista, conseguenze nefaste perché non viene considerato che la qualità dell’istruzione dipende principalmente dalla qualità degli insegnanti.
Considerato che, dice Galli della Loggia, mediamente in Italia tale qualità lascia alquanto a desiderare, ci sarebbe più che mai bisogno di incentivi che premino la qualità degli insegnanti, che li sollecitino a migliorarsi e a migliorare i risultati ottenuti in aula.
Anche al fine di rendere la professione dell’insegnante non già una soluzione di ripiego, come troppo spesso avviene, ma capace di attrarre i giovani più dotati.
Per i sindacati della scuola, viceversa, lo stipendio eguale per tutti a prescindere dal merito è una necessità vitale. Solo così, infatti, essi possono assicurarsi l’esistenza degli insegnanti come massa indistinta dipendente unicamente dalla contrattazione collettiva di cui sono essi i padroni.
E chiosa: ne sanno qualcosa quei pochissimi ministri dell’istruzione — ne ricordo il più noto, Luigi Berlinguer — che hanno osato cercare di mutare questo andazzo e ne sono rimasti stritolati.
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