Didattica distanza: ottimo sussidio per la didattica ordinaria, utilissimo in momenti emergenziali come l’attuale periodo di sospensione dell’attività didattica vera e propria. Però non può essere imposta, né agli studenti né (tantomeno) ai docenti. Lo scrivono CGIL CISL UIL SNALS e Gilda in una nota ai Dirigenti Scolastici della Toscana e all’Ufficio Scolastico Regionale Toscana, una decina di giorni dopo la prima presa di posizione in tal senso di un Sindacato di base (Unicobas Scuola e Università), che in solitudine aveva anche difeso gli ATA. «Chiediamo a tutti i Dirigenti scolastici», scrivono nero su bianco i cinque Sindacati, «di rispettare le funzioni del docente e la libertà di insegnamento, che può essere minata anche attraverso la definizione dei programmi minimi, delle tecniche d’insegnamento e, addirittura, il conteggio delle ore effettuate in remoto».
Aggiungono che «durante la sospensione dell’attività didattica possono essere effettuate solo attività funzionali all’insegnamento di carattere collegiale previste nel Piano delle attività deliberato dal Collegio dei docenti, ai sensi dei sopra richiamati articoli 28 e 29 del CCNL Scuola 2006-2009»; che «non sussiste per i docenti alcun obbligo di permanenza scuola né possono essere obbligati all’effettiva presenza in servizio, nemmeno telematica, riorganizzando il loro orario settimanale o convocando collegi dei docenti»; e ricordano ben tre sentenze (quella del Consiglio di Stato, sezione VI, n. 173 dell’8 maggio 1987, quella del Tribunale del Lavoro di Trento del 23 gennaio 2004 e quella del Tribunale di Napoli, R.G. 5344/2006), a dimostrare che «in assenza di attività programmate o d’impegni collegiali straordinari convocati dal Dirigente Scolastico, il docente deve essere considerato a disposizione ma senza l’obbligo di adempiere al suo orario settimanale curriculare, previsto per il normale svolgimento delle lezioni».
«Vi invitiamo», ammonisce il documento, «a rispettare le norme e quanto stabilito dal CCNL ed evitare l’applicazione di pratiche fantasiose e non rispettose della libertà di insegnamento a violazione della funzione del docente»; e ricorda che «per l’utilizzo di questo “strumento metodologico”, che può essere di ausilio alla vera didattica, non esiste alcuna normativa nel nostro ordinamento e che, ad oggi, non è stata testata nessuna piattaforma in tal senso»; anche perché «non sussiste un obbligo contrattuale per il telelavoro dei docenti». Richiama le dirigenze scolastiche a non «far spostare dalla propria abitazione tutti quegli insegnanti che, per vari motivi, non siano in possesso della strumentazione adeguata a compiere la didattica a distanza, o richiedere, nel lavoro da casa, un aggravio burocratico relativo alla compilazione di modulistica che sottrae tempo alla didattica e, per di più, non è normata nel nostro ordinamento».
Insomma, una sostanziale conferma di quanto già scritto in un nostro precedente articolo. Nessuno, in democrazia, può imporre ai docenti un modello pedagogico “di Stato”, che impedirebbe ad altri modelli pedagogici (magari migliori) di esplicarsi liberamente. Nemmeno in epoca d’emergenza. Anche perché altrimenti basterebbe un’emergenza qualsiasi per far assurgere una pedagogia unica e un pensiero unico a pensiero e pedagogia “obbligatori per decreto governativo”.
È bene allora ricordare anche che pratiche “fantasiose” come i “Collegi dei Docenti in streaming” non hanno alcun valore giuridico, e che semplicemente non esistono. Non sono Collegi dei Docenti, ma semplici conversazioni fra colleghi. Ne consegue — con buona pace del Dirigente che meditasse di imporli (e dei docenti che si piccassero di ascoltarlo) — che la partecipazione siffatte conversazioni non è obbligatoria, perché non prevista da nessuna norma. I Collegi sono normati dall’articolo 7 del Testo Unico (Decreto Legislativo 16 aprile 1994, n. 297): delibere formulate secondo modalità difformi sarebbero non solo nulle, ma persino impugnabili presso il Giudice del Lavoro.
Altrettanto illegittima sarebbe la pretesa di costringere i docenti a firmare sul registro elettronico in periodo di sospensione delle attività didattiche. Infatti un docente può firmare sul registro elettronico solo se è in classe, nello svolgimento di attività didattiche in presenza propria e degli alunni. Orbene, la “didattica a distanza” non è giuridicamente paragonabile alla didattica in presenza (checché ne dicano sviluppatori e proprietari delle piattaforme online). Ne consegue che, in questo periodo di sospensione, firmare sul registro elettronico da casa sarebbe addirittura reato (per giunta facilmente accertabile, perché perpetrato da un indirizzo IP diverso da quello della Scuola!).
Ci risulta difficile credere, comunque, che la stragrande maggioranza dei Dirigenti non sia già a conoscenza di tutto ciò e non si stia comportando in modo corretto. Sta semmai ai Docenti — che in gran parte sono stati assunti per concorso e dunque hanno studiato le norme relative alla funzione docente — ricordare che tutelare se stessi (ove ravvisassero una violazione delle norme vigenti) significa tutelare la Scuola e la democrazia in questo Paese.
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