La capacità critica? Rischia di diventare una illustre sconosciuta, almeno tra i nativi digitali che “divorano” social media dalla mattina alla sera e, non di rado, pure di notte. È questa, dunque una delle conseguenze che si riscontrano in chi è bombardato da messaggi: diventare una sorta di “protesi del pensiero”, senza più spirito critico. Soltanto la scuola può correre ai ripari: “l’unica contromisura è ripartire dai giovanissimi” e dalla responsabilità nell’educarli “ai valori della lettura, del pensiero e della scienza”.
A pensarla così è uno dei massimi esperti di Neuroscienze a livello internazionale, Lamberto Maffei, della Scuola Normale di Pisa, intervenuto il 22 maggio a Roma nell’Adunanza generale solenne dell’Accademia dei Lincei.
“Ambiente e cervello” è stato il tema della sua relazione e, poiché il cervello è un organo plastico e che risente moltissimo delle influenze ambientali, è chiaro aspettarsi che l’attuale esplosione dei social media possa avere delle conseguenze sul più complesso degli organi.
“Non si può sottovalutare il rischio che lo sviluppo dei social media moderni, quali Facebook, Twitter e la televisione, diffondendo messaggi uguali a grandi moltitudini di persone, tenda a fare aumentare il cervello collettivo, oltre il grado richiesto per la socialità all’interno della specie. Perché sempre più mangiamo tutti la stessa ‘pappa’ sensoriale e culturale e sviluppiamo quindi strutture cerebrali simili”, ha spiegato Maffei.
Il risultato di questa globalizzazione dei messaggi è che possa influire sulla capacità di prendere decisioni e in un comportamento “sempre più condizionato da una spinta alle decisioni rapide in una corsa che non lascia più tempo per ascoltare, colloquiare e forse neanche per riflettere e pensare”.
Con la riduzione progressiva della capacità critica, uno dei rischi maggiori è “perdere l’io”, in un livellamento delle menti: uno scenario che potrebbe suggerire l’immagine di un gregge che risponde collettivamente a messaggi globali, e disposto a “seguire un pastore”, inteso come “colui che grida”.
Il “vero pericolo” indicato da Maffei è che il cervello possa “perdere il suo compito di analizzatore critico e sia plasmato da quei messaggi mediatici pilotati che indicano il consumo come un bene per l’umanità e lasciano credere che uccidere possa essere anche permesso”.
Quanto agli smartphone e ai tablet, principali veicoli dei social, il cervello può finire per stabilire con essi una sorta di simbiosi, che rende più facile convincere” e trasmettere “messaggi globali. Il rapporto con questi strumenti di comunicazione, però, è diventato talmente forte che perderli, ha osservato Maffei, “è come perdere uno strumento per pensare”.
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