Di questo sconosciuto esercito di volti, desideri, sogni, fantasie, speranze, circa mezzo milione è privo persino del minimo necessario per sopravvivere. Una condizione di deprivazione che espone i ragazzini ad essere facile preda della criminalità organizzata e dello sfruttamento lavorativo, ma che ha anche effetti negativi sulla loro stessa salute.
Infatti la povertà è intesa pure come mancanza di istruzione, opportunità e informazioni che influenzano negativamente anche lo stato di salute.
Viene pure osservato, dicono i rapporti, che i bambini provenienti da situazioni economico-sociali svantaggiate presentano maggiori percentuali di ricoveri inappropriati, minor accesso ai programmi vaccinali, ma anche maggiori possibilità di assumere abitudini di vita e modelli comportamentali errati, come fumo e cattiva alimentazione, e di subirne in età adulta le nefaste conseguenze. In altre parole la condizione sociale influenza fortemente l’accesso ai servizi sanitari e infatti dalla osservazioni risulta che i bambini in condizioni di basso livello socioculturale sono quelli che richiedono più visite al pronto soccorso.
Ciò significa che la scuola, e quindi la funzione docente, in un modo o nell’altro, dovrebbe prendere atto di questo enorme numero di bambini lasciati a se stessi, per tutte le cause di natura politica ed economica che ci sono dietro, mentre le analisi dei risultati dei sondaggi nazionali e internazionali, Ocse-Pisa, non possono non tenere conto di letture alternative e soprattutto di considerazioni più attente e circostanziate.
E fino a quando qualcuno non penserà a invogliare al trasferimento verso le scuole di frontiera (quelle a più rischio emarginazione, sfruttamento lavorativo e criminale) i docenti con più esperienza, più motivati e con una forte dose di carisma e passione, questi dati, brutti anche per antica conoscenza, sono con ogni probabilità destinati ad allargarsi.
E’ stato infatti fin troppo semplice attribuire alla scarsa efficienza (preparazione?) dei docenti i cattivi risultati dei dati Ocse, ma saltando, o accennandoli solo per conoscenza, gli studi più comuni che legano il successo alle condizioni economiche e culturali di provenienza.
“Avete visto mai il figlio di un medico abbandonare la scuola o disperdersi durante o dopo l’obbligo?”
A questo dato, che potrebbe sembrare empirico, si è sostituito quello dello studio scientifico e della ricerca sul campo da parte di associazioni come Save the Children che si chiede: che fine farà questo milione e mezzo di bambini del Mezzogiorno, che vivono in una condizione di povertà relativa o assoluta e che ha difficile accesso alla scuola? E dove si troverà fra qualche anno quell’altro esercito di oltre 500mila bambini, privi persino del minimo necessario per sopravvivere e che sono ai limiti della povertà o del tutto poveri? Chi si prenderà carico della loro cultura, educazione e del loro sacro diritto alla cittadinanza? Chi si occuperò di portali a scuola? Chi li cercherà tra i quartieri degradati delle periferie urbane e dei ghetti cittadini? Chi li sottrarrà alla probabile manovalanza criminale e allo sfruttamento?
Per questo talune giaculatorie generaliste e accusatorie contro la scuola pubblica molto spesso riescono solo a infastidire.
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