L’Esame di Stato conclusivo degli studi secondari superiori (ex maturità. A proposito: a quale età si raggiunge la vera maturità?) consta, da sempre, di due parti: una scritta ed una orale. Due sono gli scritti. Il primo è rappresentato da una prova in lingua italiana ed il secondo è afferente ad una disciplina caratterizzante l’indirizzo di studio scelto dai candidati. E’ la prova che incute maggiore apprensione, come confermato dai tanti anni di partecipazione in qualità di commissario (sia interno che esterno) ma anche come maturando, tanti anni orsono.
Superato questo primo step c’è il colloquio tendente a misurare le conoscenze, le competenze e a valutare, contemporaneamente, la personalità complessiva del candidato.
Alla fine è previsto un tempo dedicato alla discussione degli elaborati per dare modo ad ognuno di rendersi conto dello svolgimento (presenza di errori, parti incomplete o non trattate, interpretazione non corrette o altro). Ci stata bene il contraddittorio che potrebbe essere apprezzato. Viene pure commentata anche la griglia di valutazione (obbligatoria) da accludere come parte integrante agli atti e firmata da tutti i membri della commissione.
Da quanto precede, dunque, l’esame deve essere sostenuto in tutte le sue parti.
Al termine, da usanza, si chiede qualche informazione sugli orientamento futuri (cosa farai da grande)?
Ovviamente la commissione ne prende atto senza nel merito delle risposte date.
Al che il candidato si congeda salutando. Non molti danno la mano.
Chiaro che non è obbligatorio, ma un gesto di gentilezza non guasterebbe (ma si sa che cosa essa sia)?
D’altra parte coloro che stanno dalla parte opposta della scrivania hanno qualche o più anni di differenza e a suo tempo li hanno fatti pure loro, pur se con formulazioni diverse.
Recentemente le cronache hanno portato alla ribalta un episodio di protesta, che per quanto civile possa essere stata, rischia di creare un precedente con effetto alone.
Sicuramente potrebbe essere stato favorito da una legislazione che consente di superare l’esame anche di fronte al rifiuto di sostenerne una parte.
Questo, ad onor del vero, non può essere accettato per rispetto nei confronti degli altri maturandi dal lecito comportamento.
Cosa potrebbero dire, ad esempio, gli studenti lavoratori che, dopo una giornata di lavoro, ci mettono tutto l’impegno possibile per conquistare l’agognato diploma?
Similmente dicasi per coloro che, in età matura, si rimettono sui libri a costo di sacrifici.
“Io che ho faticato non poco per realizzare un mio sogno vedere quanto sta succedendo, mi viene da voglia di dire: ma chi me lo fa fare? E invece no! Chi la dura la vince”!
Sarà bene tenere presente che il vero banco di prova è lo scorrere dei giorni.
Giovanni Todeschini