Repubblica, da suo corrispondente in Usa, pubblica il dibattito che si sta aprendo da quelle parti contro i test nelle scuole e di ammissione alle università, così come sono congegnati. Una prima lotta contro il dogma nei test scolastici, una sorta di sfida contro i totem che accompagna (e terrorizza) gli studenti dalle elementari sino all’università.
Ritenuti oggettivi per valutare i ragazzi e garanzia di un livello di qualità alto, anche in America il clima sta cambiando e le certezze si sbriciolano.
La rivista “The Atlantic”, scrive Repubblica, è tra le prime a porre il problema: siamo ancora sicuri che sia il modo giusto per valutare i ragazzi? In una società complessa è davvero questa l’unica strada per realizzare la meritocrazia? Nel dibattito che segue i “no” sono una valanga inaspettata: i genitori e i giovani sono i primi a scagliarsi contro l’istituzione, ma anche molti professori si accodano. E così sembra proprio che anche le università incomincino a dubitare e a cercare strade diverse a partire dalle “applications”, le domande dove vengono introdurre dosi massicce di fantasia nel sistema: «Vogliamo valutare oltre all’intelligenza la capacità degli studenti di rischiare, di cercare risposte non standard ai problemi»: racconta al New York Times Andrew Flagel della Brandeis University e aggiunge: «Vogliamo che i nostri allievi abbiamo una forte identità personale».
E un professore spiega all’Huffington Post: «Quando chiedo una data di un evento storico si alza una selva di mani e le risposte sono quasi sempre puntuali. Ma se poi domando il perché quella cosa è accaduta e che conseguenze ha avuto la classe si zittisce ».
Sempre il New York Times racconta che un gruppo di scuole materne della città sta pensando di abolire i test di ammissione: «Sono dannosi e provano inutili stress nelle famiglie e nei bambini ». Un preside della Pennsylvania non ha dubbi: «Insegno da oltre trent’anni e sono costernato nel vedere come i test abbiano accresciuto la loro importanza sino a diventare l’unico metro di giudizio in qualsiasi grado del percorso scolastico. È un errore grave, si creano ragazzi meccanicizzati, lineari incapaci di elaborare un pensiero autonomo ».
E Victoria Goldem, autrice di una guida agli istituti di New York, è ancora più netta: «Bisogna ritrovare un metro di giudizio soggettivo». La fantasia, il coraggio, l’indipendenza di giudizio iniziano ad entrare nel vocabolario dei professori e la novità ricade sugli studenti che reagiscono a umori alterni, alcuni colpiti da crisi di ansia, altri con sprizzante “felicità”.
E su questa scia, quella del cambiamento, anche i professori: «Le sfide che aspettano questi ragazzi non sono più quelle di appena vent’anni fa, la situazione è cambiata in maniera drastica. Avere una voce originale, saper trovare una soluzione creativa ad un problema sono capacità fondamentali ».
E mentre in America, dove ebbero origine queste formule “matematiche” di giudizio, si discute sulla soppressione dei test-quiz e sulla loro effettiva validità in termini di valutazione, in Italia, afflitta di provincialismo, ci si incaponisce a implementarli, come sicura panacea per risolvere tutti i mali della nostra istruzione
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