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I troppi banchi di Bianchi

Il Ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, se ne infischiava del Covid-19, di tutte le sue varianti e della prevenzione della loro diffusione. Sedici mesi dopo quel tragico 5 marzo 2020, giorno di chiusura per pandemia di tutte Scuole d’Italia, i troppi banchi ereditati da Bianchi offrivano ancora trampolini meravigliosi dai quali il virus poteva comodamente spiccare il volo verso le agognate “rime buccali”. Di buone intenzioni, si sa, sono lastricate le Scuole d’inverno. Poi arriva il generale agosto e in ogni aula ciascun banco resta al proprio posto.

La riduzione del numero di alunne e alunni per classe venne sbandierata ai quattro venti; trenta, ventisette, ventitré erano i banchi singoli di Bianchi, pari furono e pari restarono anche per l’anno scolastico successivo. In verità, dal cilindro di Azzolina Lucia era stato estratto anche il coniglio docente-Covid; anzi, un esercito di 50.000 maestre e professori che avrebbero dovuto determinare lo smembramento, senza spargimento di sangue, delle classi-pollaio. Polli fummo noi a credere nell’arrivo di tanti Godot a Righe o a Quadretti, di quelli che con Big Ben o Francia o Spagna nessun si lagna.

Con una quarantena ogni tanto per studenti e docenti mentre, parafrasando De André, i giorni cadevano dal calendario al pari delle connessioni della Didattica a Distanza, trascorreva l’anno scolastico. Prese il via la Coppa Quarantena, vinta da una Collega di Città-Non-So con cinque soste davanti al computer per 60 giorni di DDI, Didattica Digitale Interrotta (frequentemente).

L’annuncio successivo riguardò la prevista diminuzione della popolazione scolastica. Grazie al calo demografico, entro un decennio, i troppi banchi di Bianchi si sarebbero ridotti di un milione e trecentomila unità, ma in modo indolore, senza tagli. Con la conseguente scomparsa di 65 mila cattedre, mentre oltre 350.000 docenti miei coevi raggiungevano la forneriana pensione, lo Stato avrebbe risparmiato sicuramente sulle nuove immissioni in ruolo, racimolando così il malloppo da ridistribuire in forma di vitalizio ai politici condannati.

Nel rispetto del sacro principio del “Senza ulteriori oneri per lo Stato”, venne introdotta una materia “parassita” che non aveva ore assegnate, maestre e professori dedicati ma solo il voto in pagella. I concorsi concorsero a confermare il caos generale. Banditi in pandemia, espletati straordinariamente ma non ordinariamente, vennero soppiantati da liste di persone abilitate/specializzate su materia o sostegno, oppure salite in cattedra per molti autunni ma bocciate senza appello nella tarda primavera del secondo anno di pandemia.

Le cattedre davanti ai banchi di Bianchi restarono vuote e perciò, con profondo dolore, venne decretata la morte della Vecchia Scuola e la nascita della Giovane Scuola: dallo schermo immacolato, rigorosamente in DaD, un solo influencer-docente era in grado di ammaestrare classi di oltre 50 alunne e alunni adoranti. Le aree disciplinari vennero ridotte a tre, “Parlare per comprare”, “Far scrivere chi sa scrivere” e “Diamo i numeri”. Abolite sanzioni disciplinari e bocciature, le studentesse e gli studenti ricevevano la promozione anticipata già durante l’accoglienza del primo giorno di Giovane Scuola, per poi partecipare al momento di socializzazione intitolato “Scegli la classe che ti piace!”.   

I numerosi banchi di Bianchi in sovrannumero vennero trasformati in comode greppie per nutrire quadrupedi dagli alti nitriti, dopo aver ospitato non pochi bipedi raglianti. Fabula docet: meglio un diploma regalato oggi che un’onerosa laurea donata domani.

Antonio Deiara

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