Categorie: Riforme

ICT nella scuola: attenzione ai rischi

Lim, tablet, e-book entrano nelle scuole e nella pratica didattica. Gli insegnanti cercano di adeguarsi ai nuovi stili di insegnamento/apprendimento. Gli editori offrono prodotti innovativi e curano direttamente l’aggiornamento dei docenti. I ministri che si succedono spingono sulla digitalizzazione di tutti i processi e i servizi della Pubblica Amministrazione, scuola compresa.
Finalmente però si comincia a parlare dei rischi e della necessità di un uso critico e consapevole dei new media. “Spegnete sms e tablet. I ragazzi non sanno leggere” titola un articolo di Cristina Taglietti sul corriere.it del 23/9/2012, che analizza le conseguenze di “un’accoglienza superficiale e perciò sostanzialmente inutile, se non dannosa” delle Itc nella scuola.
Si scopre infatti che i nostri studenti sempre meno sanno leggere e ancor meno sanno scrivere, se per leggere si intende capire un testo abbastanza complesso e per scrivere si intende usare strutture lessicali e sintattiche e non solo gli sms.
Chi fa il commissario all’esame di maturità ha ben chiara la situazione. L’alunno che esce dalle elementari con gravi carenze di lettura e scrittura può superare l’esame di terza media ed arrivare all’esame di stato della secondaria superiore con le stesse carenze non sanate e spesso neppure parzialmente recuperate, nonostante gli interventi messi in atto con gli strumenti a disposizione. Nella “valutazione complessiva” dello scrutinio finale prevalgono sempre altre considerazioni.
Non si tratta solo di una impressione empirica. Le rilevazioni “Pisa” del 2009 hanno segnato un peggioramento nella literacy in lettura anziché un miglioramento rispetto al 2000, con una media nazionale complessivamente inferiore alla media Ocse (486 contro 493), e con punte molto basse nelle regioni del sud.
Una ulteriore riflessione riguarda il rapporto fra la padronanza linguistica e l’acquisizione delle competenze chiave di cittadinanza. Sarà difficile che i giovani con carenze di lettura e scrittura sviluppino le competenze ad un livello maturo e consapevole, come sarebbe necessario “per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione” (Raccomandazione Ue del 18/12/2006).
Basta rileggere cosa il documento europeo intende per “Comunicazione nella madrelingua”, ovvero “la capacità di esprimere e interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e opinioni in forma sia orale sia scritta (comprensione orale, espressione orale, comprensione scritta ed espressione scritta) e di interagire adeguatamente e in modo creativo sul piano linguistico in un’intera gamma di contesti culturali e sociali, quali istruzione e formazione, lavoro, vita domestica e tempo libero”.
E ancora: “La competenza comunicativa risulta dall’acquisizione della madrelingua, che è intrinsecamente connessa con lo sviluppo della capacità cognitiva dell’individuo di interpretare il mondo e relazionarsi con gli altri”.
Oggi invece la comunicazione fra giovani è veloce, simultanea, abbreviata, semplificata, senza punteggiatura, sregolata e destrutturata più che libera e creativa. In ambito scolastico si riflette la tendenza all’uso dell’unico registro linguistico conosciuto. Per non parlare della scrittura manuale o grafia: i nativi digitali non sanno più scrivere a penna in modo leggibile.
La scuola di fronte a questo fenomeno appare impotente, ma non dovrebbe seguire superficialmente le innovazioni e le mode, né tantomeno cedere alla rassegnazione, quanto piuttosto interrogarsi sul proprio ruolo. Anche i nostri decisori dovrebbero avere più chiaro il quadro dell’attuale situazione. La competenza digitale è solo una delle otto competenze chiave che è necessario possedere per una vita positiva nella società della conoscenza.
Anna Maria Bellesia

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