Nonostante il titolo, la recente lettera di Carmelo Mirisola trascura proprio i tratti più caratterizzanti della “identità scolastica dell’insegnante di religione cattolica in Italia”.
Tanto per cominciare, la formazione specialistica di tale insegnante può svolgersi soltanto nelle facoltà cattoliche di teologia o di scienze religiose. Nei comuni istituti accademici infatti simili discipline valgono soltanto come pseudoscienze dogmaticamente intese.
Per insegnare la religione cattolica egli deve inoltre ottenere l’idoneità dalla diocesi. Mentre dalla pubblica amministrazione riceve soltanto lo stipendio.
L’insegnante di religione cattolica deve essere egli stesso cattolico, deve aderire al magistero ecclesiastico e metterlo in pratica nella sua vita anche al di fuori del contesto lavorativo, pena la revoca. Spetta alla diocesi vigilare che eccella “per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana coerente con la fede professata, vissuta nella piena comunione ecclesiale”.
Mirisola, pur richiamandosi alla Costituzione, arriva a sostenere che la “dimensione religiosa esiste in ciascuno di noi”, e che “la formazione della persona e del cittadino… non è completa se si esclude in essa la dimensione religiosa: la formazione della persona… trova piena completezza con l’insegnamento religioso”.
Queste, deve essere chiaro, sono soltanto sue personalissime e discutibilissime opinioni. In Italia, paese laico, atei e agnostici hanno la stessa dignità dei credenti nel cattolicesimo o nelle altre religioni. L’insegnamento della religione cattolica, in particolare, nulla aggiunge alle normali materie scolastiche, ha carattere confessionale e apologetico, e proprio per questo è puramente facoltativo.
Andrea Atzeni