In 34 città italiane ieri la prima giornata “nazionale” no-Dad, a partire da Trieste, Roma Milano. In piazza, a protestare contro la didattica a distanza, c’erano insegnanti, genitori, alunni, associazioni organizzati dalla “Rete nazionale delle scuole in presenza” con la richiesta della ripresa al più presto delle lezioni in presenza.
L’idea che è passata e che ha spinto tante persone a manifestare il loro dissenso è condensata nelle parole di uno dei dimostranti: “Non tollereremo che si rimandi l’apertura oltre l’8 aprile né che la didattica a distanza venga adottata come soluzione a lungo termine”.
Coloro che ieri hanno voluto manifestare il loro disaccordo nei confronti della Dad partono dal concetto che la chiusura delle scuole, e dunque la mancanza dei contatto fisico e della socializzazione fra i ragazzi nelle aule e coi loro docenti, possa lasciare per strada gli studenti fragili e di indebolire tutti gli altri: ”Quello che dobbiamo tutelare è la salute mentale dei ragazzi. I ragazzi in dad sono isolati”. E ancora: “la scuola non è fonte di contagio. I miei figli piangono ogni giorno perché gli manca la vita sociale”; “la scuola chiusa è un danno al Paese”.
“Siamo stufi dell’inerzia delle istituzioni”, dicono altri, come riporta Il Corriere
Tuttavia il problema c’è, i contagi sono una triste realtà e sono anche tanti i docenti che lamentano i rischi giornalieri che corrono entrando a scuola per svolgere il proprio dovere: “Se in classe i distanziamenti e le misure igieniche, tra mascherine e gel, si possono controllare, all’ingresso e all’uscita si creano quasi spontaneamente confusioni e assembramenti tra i ragazzi. È li, in questa fase, che il rischio del contagio si fa reale”.