Lucia Azzolina, quarantenne, due lauree, deputata dal 2018 col Movimento 5 Stelle, sottosegretaria e poi ministra all’Istruzione col Governo Conte II, ama il mare, la sua Sicilia e cucinare. Autrice di un saggio nel quale racconta le sue esperienze, sia umane che politiche, “La vita insegna” (Baldini e Castoldi, 2021), a lei, che durante il suo mandato ha subito pesanti critiche da parte delle opposizioni di destra, abbiamo posto delle domande per capire quali sono stati, se ci sono stati, i punti deboli del suo mandato e come vede l’attuale governo della scuola.
Onorevole Azzolina, lei è stata ministra dell’Istruzione in un momento particolare per il Paese: si sente fortunata per avere avuto un incarico così prestigioso a seguito delle dimissioni inaspettate di Lorenzo Fioramonti o sfortunata perché dopo poche settimane dal suo insediamento è arrivato la pandemia?
“Né l’una né l’altra. Certamente la pandemia ha da subito trasformato il mio mandato in una gestione straordinaria, a tutela della scuola. Ma ho interpretato il ruolo secondo necessità, cercando di sfruttare l’emergenza come occasione per un’opera di rinnovamento. Molte cose sono state fatte e tante altre sono state avviate. Ora, però, il cammino non va interrotto”.
In questi giorni il Governo sta vivendo un periodo di forte contestazione per i provvedimenti sulla scuola: in particolare, ai sindacati, come a tanti docenti e Ata, non piace il decreto legge 36 per riformare reclutamento e formazione. Perché si è arrivati a questo strappo?
“Perché si tratta di un decreto con gravi lacune ed errori nocivi per la scuola, emanato senza previo e adeguato confronto, né con le forze politiche, né con le forze sociali, né con il personale della scuola, le famiglie, le studentesse e gli studenti. Delinea un percorso per l’accesso all’insegnamento che sembra una corsa ad ostacoli, passa da prove a crocette rivelatesi fallimentari e che scoraggia soprattutto i giovani, mentre la scuola ha un enorme bisogno di nuove leve che scelgano con entusiasmo di insegnare. Quanto alla formazione non si può pensare con una mano di investire risorse e con l’altra di tagliare l’organico. Così come è sinceramente inaccettabile la riduzione dei fondi per la carta docente. Siamo sempre lì, purtroppo: le riforme sulla scuola non si fanno a saldo zero. Altrimenti è una presa in giro. Senza dimenticare il mancato rinnovo del contratto del personale della scuola e il mancato rinnovo dell’organico ‘covid’. È surreale, dopo questi due anni terribili, dover ancora convincere qualcuno che sulla scuola si debba investire e non tagliare.”
Pure l’operato del suo successore, Patrizio Bianchi, non sembra molto apprezzato, sia sulla gestione del Covid, sia sull’edilizia con aule più grandi per accogliere gli alunni. Praticamente, oggi le scuole sono quelle d’inizio pandemia. Anzi, le uniche migliorie (banchi monoposto e innovativi, tablet agli alunni indigenti, decine di migliaia di euro a scuola) sono arrivate durante la sua gestione. È d’accordo?
“Non c’è da essere d’accordo, c’è da leggere i numeri. Gli investimenti sulla scuola sono ripartiti in quei mesi, poi si sono incomprensibilmente fermati. Noi abbiamo fatto i lavori per ampliare 40 mila aule, abbiamo rifornito le scuole di strumenti digitali, promosso la formazione per i docenti, rinnovato gli arredi secondo le richieste dei dirigenti scolastici, dato libri di testo gratis alle famiglie meno abbienti, assunto 70.000 tra docenti e ata. Mi permetta di dire che sono state iniziative vissute con normalità, ma sulle quali ci siamo impegnati con determinazione e non senza difficoltà, anche e soprattutto per il reperimento dei fondi necessari. Nel 2020 la spesa per l’istruzione ha raggiunto una cifra mai toccata negli ultimi 10 anni. Un primo passo per restituire alla scuola ciò che merita, sia in termini di risorse, che in termini di fiducia. Ciò che non è normale è che si sia tutto fermato un minuto dopo e che, anzi, si vada incontro a tagli”.
Il suo partito in occasione delle ultime elezioni politiche mise la scuola tra i punti prioritari e ciò convinse molti insegnanti, molti dei quali tuttavia si sono poi detti delusi perché il M5s al Governo non avrebbe mantenuto le promesse. Nei sondaggi infatti ha perso circa la metà dei consensi. Tra questi vi sono molti precari mai stabilizzati, chi si aspettava più tempo pieno e la fine delle classi pollaio. Cosa risponde a queste persone?
“Che una buona parte dei docenti precari sono stati stabilizzati grazie al concorso straordinario, su cui ho insistito tanto. Che, tra l’altro, ha avuto ottimi risultati a differenza del concorso ordinario organizzato dall’attuale amministrazione che ha visto in media il 90% dei candidati respinti. Quanto alle cosiddette classi pollaio, chi conosce la scuola sa che non si può risolvere il problema in un anno. Ma il percorso era stato avviato con decisione: la deroga alla legge Gelmini, l’organico extra e le aule in più per sdoppiare le classi. Il Ministro Bianchi ha fatto marcia indietro e non perde occasione per ripetere che le classi pollaio non esistono. Propone un taglio di 11.600 docenti e sostiene che ne avrebbe dovuto tagliare 130.000. Mi viene il dubbio che non frequenti molto spesso le scuole”.
Se tornasse ministra con la pandemia ancora in vita, cos’è che non farebbe rispetto alla sua esperienza e cosa confermerebbe.
“Ciascuno di noi commette errori, ma tutto ciò che è stato fatto è sempre stato frutto di un lungo confronto con tutti. Con le forze politiche e con la comunità scolastica: personale, famiglie e soprattutto studenti, che oggi mi pare non vengano molto ascoltati. Con l’unico fine di tutelare la scuola. Non potrei che procedere di nuovo nello stesso modo”.
Lei ha scritto un libro, “La vita insegna”, dove tira le somme del suo governo della scuola, togliendosi pure qualche sassolino dalla scarpa. Ha avuto riscontro positivi? E come stanno andando le vendite?
“Sta andando bene, a 7 mesi dalla pubblicazione continuo ad essere sommersa di inviti per presentare il libro. Un affetto che mi stupisce ogni volta. Giro tantissimo il Paese e lo faccio davvero con grande entusiasmo ed umiltà. La politica è un servizio ai cittadini. Non bisogna dimenticarlo mai.”.
Il fatto di essere siciliana e donna le ha provocato particolari difficoltà o l’ha agevolata?
“Questo è uno dei temi del libro. Avere l’accento siciliano e andare a lavorare al Nord, come ho fatto io da giovanissima, non è facile. Vivi il pregiudizio. Ma non mi sono mai scoraggiata, se lavori bene e con serietà le persone poi riescono a vederti per quello che sei, non per l’accento. Il sessismo è un altro grosso problema della nostra società che ho, ahimè, sperimentato nella mia seconda vita, quella in politica. L’idea che una donna possa ricoprire incarichi di responsabilità pubblica spesso non piace e qualcuno preferisce stigmatizzare un rossetto rosso piuttosto che valutare le cose che fai. La strada per crescere come comunità è ancora lunga e va percorsa soprattutto a scuola, luogo in cui il rispetto, l’uguaglianza, la solidarietà possono trovare pieno accoglimento”.
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