“Il 10 per cento, un numero alto. D’altronde nel Mezzogiorno i posti in ruolo per i docenti continuano a diminuire. Le nomine si fanno in base al numero di alunni, che sono sempre di meno”: questo il commento, riportato dal Corriere della Sera, del sindacalista Flc-Cgil, che opportunamente aggiunge: “Servirebbero politiche di sostegno alla scuola nelle regioni del Sud, per combattere l’abbandono e l’emorragia di studenti. Iscriversi alle graduatorie di altre province è un diritto sancito dalla legge”.
Tuttavia la domanda cruciale è sempre la solita: perché gli alunni sono sempre meno nel sud e perché mancano quelle politiche di sostegno?
La risposta l’ha data indirettamente il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, a Rimini nei giorni scorsi: “Un paese con oltre il 40% di disoccupazione giovanile non ha futuro” e in modo particolare il sud, dove tale livello ha raggiunto punte ormai quasi insostenibili.
E mentre la disoccupazione cresce, nel meridione si registra pure il più alto tasso di dispersione e abbandoni, che, unito alla emigrazione, assai simile a quella degli anni “60 verso i paesi europei, sta portando le regioni del mezzogiorno a un lento soffocamento economico e sociale: “Dobbiamo fare anni di austerità vera, tagliando la spesa pubblica per investire in infrastrutture e ricerca”, dice ancora Squinzi.
Corrado Passera invece, leader di Italia Unica, scocca strali: ”dopo la falsa promessa delle assunzioni ope legis per i precari, presi in giro ancora una volta, ecco comparire nello Sblocca-Italia risorse minime e tante partite di giro per far ripartire i cantieri già partiti senza una visione o una coerenza”.
Una certa politica però, che dovrebbe contribuire a trovare le soluzioni legali e istituzionali, tenendo compatta la Nazione, per bocca di partiti nordisti, vorrebbe bloccare le graduatorie provinciali, per arginare l’esodo dei docenti del Sud, come se queste drammatiche situazioni riguardassero solo pezzi dell’Italia e non il Paese intero, e come se ci fosse una sorta di volontà prevaricatrice da parte dei docenti precari a spostarsi nelle scuole del Nord per togliere cattedre ai docenti locali. Pochi infatti fanno caso alla lacerazione che si consuma in ciascuna famiglia di queste persone.
In altri termini, invece di fomentare la frammentazione dell’Italia, soffiando sul fuoco della impellente ricerca del lavoro dei precari, costretti a lasciare famiglie e luoghi d’affetto, da parte della politica ci aspetteremmo la soluzione di alcuni secolari drammi, come la inarrestabile emigrazione, che non è solo intellettuale, per mancanza di opportunità lavorative. Nessuno vorrebbe emigrare e chi emigra vorrebbe trovare accoglienza e non muri, come quelli che spesso vengono innalzati a fini solo propagandistici da parte di politici, ma sui quali inciampano anche i diretti interessati, i precari del nord che, vedendosi soffiato il posto in graduatoria e quindi la cattedra che avevano creduto a portata di mano, si indignano, più contro i loro colleghi, che contro chi spinge la gente del sud a fuggire dalla disoccupazione.
L’obiettivo allora dovrebbe essere quello di puntare a creare occupazione al sud, da dove in effetti potrebbe nascere la vera ripresa dell’intera Nazione, cosicchè non solo si smarrirebbe la mancata crescita demografica, con le dispersioni e gli abbandoni, ma anche l’idea stessa dell’emigrazione, e non solo intellettuale.
Ciò che tuttavia fa male, in questa Nazione di guelfi e ghibellini, di Romolo e Remo, di bianchi e neri, di fascisti e partigiani, di comunisti e democristiani, di anti a tutti i costi e di pro a tutti i costi, è l’obnubilamento della ragione quando si affrontano temi simili, cosicchè la laurea, per taluni “criticiatuttiicosti”, diventa realmente un pezzo di carta.