L’abolizione del valore legale del titolo di studio, come è noto, ha estimatori antichi e proposte cicliche. E sembra proprio che anche il cosiddetto Governo del cambiamento voglia cambiare su questo fronte, che fra l’altro è stato uno dei cavalli di battaglia della Lega di Bossi, quando affermava che le lauree del Sud valgono meno di quelle del Nord, compresi i diplomi.
Ora, pubblica Il Messaggero, anche per il Movimento 5 Stelle di delinea lo stesso principio, già del resto annunciato da Beppe Grillo: «Abolizione del valore legale dei titoli di studio: qui non sarete d’accordo, però secondo me poi ne potremo discutere».
È di questi giorni, scrive sempre Il Messaggero, una proposta di legge presentata alla Camera dalla deputata 5Stelle Maria Pallini, attuale sottosegretario al ministero dell’Interno,che prevede «il divieto di inserire il requisito del voto di laurea nei bandi dei concorsi pubblici. Se nel post dopoguerra e negli anni del benessere economico non si riscontravano un numero così elevato di laureati e una così alta percentuale di disoccupati e inoccupati, soprattutto tra i giovani, il predetto sistema di accesso ai concorsi pubblici poteva, anche se discriminatorio, risultare valido. Oggi il Paese e soprattutto i giovani necessitano di una riforma che garantisca la possibilità di accedere ai pochissimi e sempre più rari concorsi pubblici senza alcuna discriminazione di sorta». Ecco perché «in un momento storico così cruciale per l’occupazione, specialmente giovanile, si ritiene indispensabile concedere a tutti i cittadini aventi diritto per legge di partecipare ai concorsi pubblici senza inserire nei bandi di concorso la limitazione del voto di laurea che oggi, in alcuni di essi, risulta determinante ai fini della partecipazione ma non necessariamente garantisce un’effettiva preparazione e conoscenza».
Ma Sibilia spiega anche che l’obiettivo non è «modificare o in alcun modo ledere il principio di meritocrazia» né quello di consentire «l’accesso nella pubblica amministrazione a personale inadeguato e carente di competenze, ma semplicemente rispecchiare in pieno i princìpi costituzionali di uguaglianza e di libertà».
Insomma, per i pentastellati «la previsione del requisito minimo del voto di laurea in bandi di concorso pubblico deve essere vietata perché tale limitazione tende ad escludere a priori e senza alcuna reale motivazione una parte degli aventi diritto».
Tuttavia, ricorda Il Messaggero, nel 2013 il deputato Paolo Grimoldi presentò una proposta di legge che chiedeva l’abolizione tout court del valore legale dei titoli di studio. La ratio era quella di «raggiungere l’obiettivo di eliminare quel meccanismo un po’ perverso che non premia i meritevoli, bensì coloro che sono stati favoriti in virtù di votazioni più alte, ottenute in istituti scolastici e università meno scrupolosi a valutare l’effettiva preparazione degli allievi».
«Oggi una laurea presa in una qualsiasi Università italiana ha lo stesso identico valore, ma sappiamo bene che diversi Atenei, soprattutto meridionali, offrono un servizio nettamente inferiore alla media. Questo squilibrio provoca la mancanza di concorrenza tra Atenei, ma soprattutto si ripercuote sul meccanismo dei concorsi pubblici che penalizza sistematicamente chi proviene dalle Università del Nord».
Sulla proposta di legge Divieto di inserire il requisito del voto di laurea nei bandi di concorsi pubblici, di cui è firmataria la deputata del MoVimento 5 Stelle Maria Pallini, la deputata precisa:
In seguito alla pubblicazione di numerosi articoli giornalistici che hanno creato non poca confusione sul tema, intendo precisare che la proposta di legge di cui sono firmataria ha come obiettivo consentire a tutti i laureati, indipendentemente dal voto di laurea, la possibilità di accedere ai concorsi pubblici. È quindi strumentale fare riferimento a un presunto orientamento del Movimento 5 Stelle a favore dell’abolizione del valore legale del titolo di studio che non è per nulla contemplata nella proposta. Si precisa, inoltre, che nella posizione del Movimento non esiste alcuna intenzione di vanificare la meritocrazia non riconoscendo il valore di un titolo di studio il cui conseguimento richiede molti sacrifici. Per questo motivo, non si esclude e anzi si incoraggia la possibilità di introdurre in ciascun bando concorsuale l’attribuzione di un punteggio a seconda del voto ottenuto che concorra a definire la graduatoria di merito dei concorsi.
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