Puntuali come le rondini primavera tornano periodicamente alla ribalta le polemiche contro il “6 politico”.
Da quando è diventato Ministro, lo stesso Giuseppe Valditara ha più volte ribadito che la scuola deve essere una cosa seria e che non si può promuovere tutti come volevano (e vogliono) i “sessantottini”.
Nelle ultime ore anche Matteo Salvini ha detto “stop al 6 politico”.
Francamente a noi pare che questa polemica abbia poco senso.
Innanzitutto c’è da dire che non ci pare che oggi ci sia nella scuola un movimento di docenti o di studenti che inneggi al “6 politico”, ossia alla promozione generalizzata ed estesa anche a chi fa scena muta ad un esame o a una interrogazione.
C’è, al contrario, una maggiore e più precisa consapevolezza del fatto che la valutazione deve essere finalizzata a migliorare l’apprendimento di tutti, ma questa è un’altra storia.
C’è poi da dire che i “sessantottini” che vengono spesso chiamati in causa come i massimi responsabili dello “sfascio” (per la verità più presunto che reale) della scuola italiana sono ormai fuori dal sistema scolastico da diversi anni.
I più giovani di loro, quelli che nel ’68 erano adolescenti e non frequentavano neppure l’Università, hanno più di 70 anni e non si capisce come potrebbero praticare il 6 politico; i meno giovani hanno 80 anni o ci sono molto vicini e sono ormai distanti dal mondo della scuola.
Da dove nasca poi l’idea che il Movimento studentesco del ’68 rivendicasse il 6 politico non si comprende davvero.
Certo è che il Movimento chiamava spesso in causa Don Milani e la “Lettera ad una professoressa” ma per denunciare la “selezione di classe” che avveniva nelle scuole e non per rivendicare la promozione garantita a tutti.
Basterebbe leggere qualche documento dell’epoca per rendersene conto.
In un articolo a firma di Guido Viale, leader del Movimento torinese (Contro l’Università, Quaderni Piacentini del febbraio 1968), si elencano le rivendicazioni degli studenti ma non si parla di 6 o di 18 politico (e parliamo dell’articolo che rappresenta l’elaborazione teorica più compiuta di quella fase).
Né si parla della questione nelle cosiddette “Tesi della Sapienza”, documento redatto dalle punte più avanzate del Movimento in occasione di un incontro svoltosi a Pisa agli inizi del 1967.
Come non se ne parla in un altro notissimo documento dell’autunno del ’67 prodotto dagli universitari torinesi che avevano occupato Palazzo Campana, sede dell’Università.
E, per concludere, potremmo persino citare le parole di Mario Capanna, leader del Movimento milanese, espulso dalla università Cattolica e “costretto” a migrare verso la Statale, che, in una intervista rilasciata nel 2008 a La Stampa diceva: “La storia del 18 politico è un asino volante. È il solito refrain. Ho ancora i volantini del movimento studentesco in cui teorizzavamo che il primo nella lotta doveva essere il primo nello studio. Ebbene sì, tranne qualche eccezione, studiavamo come pazzi”.
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