Non c’è occasione, momento circostanza in cui il ministro dell’istruzione non se la prenda col movimento del 1968: dalla condotta, alla preparazione (il 6 politico) alla salvaguardia dell’autorevolezza dei docenti, al bullismo e così via.
Basta farci caso, quando le cose non si mettono bene, Giuseppe Valditara punta il dito contro il ’68: l’inizio e il termine di tutti i mali che ancora affliggono la scuola.
È chiaro che non vogliamo fare una difesa di ufficio di un movimento politico-culturale eccezionale che ha interessato tutto l’occidente europeo e nel quale è compreso pure l’inizio della liberazione della donna e della sessualità, mentre Martin Luther King difendeva i diritti dei neri d’America e gli studenti scendevano in piazza contro la guerra nel Vietnam.
Lasciamo stare questi grandi idealità che proprio nel ’68 si affermarono e nel ’68 iniziarono il loro cammino per rafforzarsi con gli anni, e andiamo all’ossessione di Valditara sulla scuola, precipitata ai minimi livelli per causa di quel movimento, altamente ideologizzato dai comunisti, che non tollerava l’autorità costituita, la cultura istituzionalizzata e pretendeva soprattutto promozione e voto facile; e nel corso del quale gli alunni osarono sfidare i prof calpestandone l’autorevolezza e il prestigio. Quella fu la scuola della politica, dice ancora il Ministro, dove si istruivano i ragazzi al comunismo e alla militanza nei partiti di sinistra.
Ora se tutto questo fosse vero, quegli alunni imbottiti di ideologia comunista oggi sarebbe tutti prof che farebbero lo stesso mestiere dei loro docenti inculcatori di dottrina illiberale, secondo i parametri di Valditara, mentre come si vede al governo c’è la destra, compreso il Nostro ministro che è tanto di destra da non afferrare con la dovuta serenità quello che col Sessantotto è successo e che non ha nulla a che vedere con quanto lui va dichiarando.
Anche perché, se fosse come lui dice, non si spiegherebbero i governi Berlusconi di destra, così di destra che per giustificare i tagli all’istruzione (così pesanti mai da nessun altro governo fatti) si inventò questa tiritera della scuola “potere forte” in mano alla sinistra e dunque da smantellare: come fecero, ma per favorire il privato e finanziare quelle scuole.
Questa però è un’altra storia.
Quello che vorremmo ricordare a Valditara, cercando di ravvederlo sulla sua ossessione, riguarda il fatto che fu proprio grazie ai movimenti politici e culturali di quegli anni, passati sotto l’unico termine di ’68, che oggi abbiamo i “Decreti delegati” con tutte quelle forme di partecipazione democratica alla vita della scuola; le assemblee degli studenti, l’ingresso dei giornali nelle aule, un nuovo rapporto discende-docente e perfino tutte quelle forme di sostegno e aiuto ai docenti a tutela dei loro diritti che prima del ’68 neanche esistevano.
Ma anche sul rinnovamento della didattica il ’68 seppe proporre nuove frontiere mentre don Milani e la sua “Lettera a una professoressa” allargava altri spazi.
Pubblicato nel 1967, il libro ebbe la sua massima diffusione proprio l’anno dopo, nel 1968 e negli anni successivi, diventando per certi versi la bandiera del riscatto della cultura popolare contro quella delle classi dominanti: altro che comunismo!
Sicuramente comandare, dettare legge, imporre il proprio parere, punire senza essere contraddetti, militarizzare la scuola, l’alzabandiera prima delle lezioni, nessuna carriera alias, nessun rapporto con le famiglie farebbero comodo a molti docenti e forse a questo Valditara si riferisce quando attacca il ’68 che non è un numero ma un movimento non certo di destra.
Il punto è non farlo diventare il classico nemico contro cui scagliarsi, un avversario unico, benchè così lontano e dai contorni così appannati da non fare più paura a nessuno, tranne alle ossessioni del Ministro, forse anche lui compresso in quel riscatto della cosiddetta cultura di destra da non riuscire ad analizzare con rigore e sine ira et studio un movimento di portata mondiale.
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