Lo sciopero della scuola è riuscito. Certo hanno aiutato l’adesione dei sindacati confederali con i loro segretari, la FIOM di Landini, i partiti della minoranza parlamentare, i Cobas, gli studenti. La motivazione politica, che ha portato all’ unitarietà dell’intero mondo sindacale, per la prima volta dal 2007, (anche allora, come oggi, c’era un governo di centrosinistra) è certamente più sfaccettata e profonda, e forse anche un po’ autolesionista dal momento che tale compattezza non è stata più messa in campo negli anni successivi del governo di centrodestra e poi di Monti.
Non c’è stato solo il mondo della Scuola dunque, ma molte scuole sono rimaste chiuse, il che denota lo stato di disagio della categoria degli insegnanti.
Un disagio certamente giustificato da anni di mancato riconoscimento professionale, di un contratto scaduto da troppo tempo, di pioggia di norme non legislative, ma imposte dall’amministrazione che hanno riversato nuovi ed ulteriori compiti sui docenti. Si pensi a tutte le complesse problematiche sui DSA, BES, ADHD da gestire; un CLIL che, vista l’inerzia dell’amministrazione, ha lasciato le scuole ad arrangiarsi da sole in vista del prossimo Esame di Stato; l’aggravarsi della situazione del precariato; le nuove Indicazioni nazionali del I ciclo da attuare e, manco a dirlo, l’attuazione della Riforma degli Ordinamenti della Secondaria che giunge quest’anno a compimento, con un Esame finale che è ancora un’incognita in molte sue parti.
Sullo sfondo quindi il progetto di riforma del Governo che, con l’obiettivo di realizzare quell’Autonomia che aspetta da 15 anni, unitamente alla volontà di riappropriarsi di quel ruolo che i governi precedenti avevano abdicato alle forze della conservazione che finora hanno impedito la necessaria innovazione, ha fatto da detonatore ad una situazione che forse si è sottovalutato quanto fosse esplosiva. Come pure è stato ingenuo pensare di rafforzare sulla carta il potere dei dirigenti senza una contestuale riforma della governance, rinviando ad una delega sine die la riforma degli Organi collegiali datati 1977, assolutamente incongrui con il contesto sociale attuale.
Archiviato ora lo sciopero, di cui sembra che sia stato recepito il messaggio, che fare per non disperdere e migliorare quanto di innovativo propone il Ddl attualmente in discussione in Parlamento?
Perché certamente sarebbe puro autolesionismo chiederne il ritiro tout court invece di ottenere quelle modifiche migliorative e necessarie che proprio il successo dello sciopero potrebbe garantire. Del resto, rispetto al progetto presentato a Settembre non si può negare che non ci sia stata un’evoluzione su vari argomenti (basti ricordare i cosiddetti scatti di competenza al 66% dei docenti con 60 euro ogni tre anni). Lo stesso Parlamento poi ha audito
circa 80 organizzazioni e ha cominciato a modificare articoli significativi.
Non si può rinunciare ai principi in grado di far funzionare l’Autonomia come l’organico funzionale, il principio del merito e della valorizzazione degli insegnanti, una idonea formazione obbligatoria, la flessibilità curricolare da offrire agli studenti, che è il vero cuore dell’autonomia, che pure ci sono nella legge e che vanno migliorati. Rinunciare a tutto vuol dire non volere il bene della Scuola e del Paese.
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