Il banco di prova

Dei giovani passano la notte del sabato in discoteca. Per ore, sono avvolti in un’atmosfera di libertà totale, dominata dal ritmo musicale. Poi, tornando a casa, l’autista perde il controllo. La macchina finisce contro un albero. Un morto e tre feriti. Questi ultimi, quando riprendono coscienza, devono confrontarsi con una realtà mai considerata, in passato, in modo diretto. La morte. Aprirsi a domande fondamentali: che senso hanno il mondo, la vita, il morire. Cosa c’è oltre?

Per Wilfred Bion, psicanalista anglo-indiano, chi non si confronta col mistero globale della realtà e col senso che intende dare alla propria esistenza, ha molte probabilità di ammalarsi mentalmente. Infatti, il banco di prova di una struttura psichica e di una cultura è dato dalla sua capacità di far fronte al triangolo nero, costituito dalla triplice negatività del male, della sofferenza, della morte.

Una cultura supera l’esame quando non si arrende di fronte al male dilagante ma lo finalizza ad un superamento, ad un riscatto. Se dà un senso trascendente alla sofferenza. Se apre un varco alla speranza ultraterrena. La sensazione che il male possa finire per prevalere, che la sofferenza è senza senso, che il nostro Io si annullerà per sempre nella morte, ci deprime, ci demotiva.

Ma, attraverso quali argomenti, quei giovani possono spiegare il fatto che un loro coetaneo è uscito dalla scena del mondo visibile?

Generalmente, noi rappresentiamo il mondo in tre modi. Servendoci di “categorie razionali e sperimentali”, accettando ciò che è controllabile dai sensi e dalla logica (“Potevamo morire noi ma è morto il nostro amico. E’ un caso, una fatalità!”). Oppure, secondo una “visione finalistica”, in base all’azione di una misteriosa ed inevitabile necessità (“Era destino!”). O, infine, grazie ad una “visione religiosa”, secondo cui una mente superiore dirige con saggezza ogni cosa ad un fine buono, anche se non è dato comprenderlo ora (“Se Dio ha permesso questo, c’è una ragione!”).

Fra questi livelli, non c’è necessariamente un rapporto di esclusione. Al contrario, essi possono essere interagenti. Importante è capire qual è, per noi, la circonferenza esterna, che contiene le altre.

Una cultura fondata, però, sulla sola certezza scientifica, povera di assoluti metafisici, genera disorientamento. La religione, al contrario, costituisce lo strato profondo ed unificante della mente. Anche una persona semplice che, nella preghiera, trasferisca i suoi problemi nella dimensione soprannaturale, gode di maggiore sicurezza del dotto che dispone di sole spiegazioni razionali.

E’ un grande “valore”, dunque, giungere ad ammettere che l’universo sia pervaso da una energia sapiente, finalizzata al bene della totalità e delle parti, e che, anche attraverso il negativo, ogni cosa possa pervenire a sintesi nuove, di qualità superiore.

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