Marta, 28 anni, è una maestra che vive ogni giorno con la paura. Quando esce di casa, guarda attorno con attenzione, e se entra in un ascensore, teme di essere sola. Ogni mattina, una volta arrivata a scuola, controlla dalla finestra per accertarsi che lui non sia lì, ad aspettarla. Marta è sopravvissuta a uno stupro da parte di un uomo che diceva di amarla. Dopo essere stata sequestrata, picchiata per sei mesi e successivamente stalkerizzata, quell’uomo è ancora libero, nonostante indossi da tre anni un braccialetto elettronico. “Non ha mai funzionato. Vivo come sull’orlo di un burrone, senza sapere se cadrò”, racconta Marta, denunciando una situazione insostenibile.
Come riporta Repubblica, l’uomo che dovrebbe essere tenuto a distanza da Marta, in realtà, è libero di muoversi come vuole. “Ripetiamo da anni che il braccialetto elettronico è solo una decorazione”, denuncia Bo Guerreschi, presidente della onlus bon’t worry, che sostiene Marta da tre anni. “È diventata un’arma contro le donne e la responsabilità è di chi lo gestisce.”
Marta ha denunciato il suo aggressore nel 2022. Il braccialetto è stato consegnato circa un mese dopo, ma il dispositivo che avrebbe dovuto avvisarla della sua vicinanza è stato, sin dall’inizio, inefficace. “Mi hanno dato un dispositivo simile a un cellulare, pesante e inutile. Non prende mai, e vivo nel terrore,” racconta la giovane insegnante. Spesso il dispositivo perde la connessione, causando falsi allarmi e costringendola a rivivere il trauma.
A questo calvario si aggiunge un processo lungo e ancora in corso. La docente ha dovuto deporre per sei mesi in una sala protetta, alternandosi con altri casi. “Il tribunale di Roma, uno dei più grandi d’Europa, ha solo una sala protetta. È stata un’ulteriore tortura,” spiega, evidenziando le gravi lacune nel sistema giudiziario.
Nonostante il braccialetto elettronico, Marta ha visto il suo stalker avvicinarsi a lei almeno dieci volte. “L’ultima volta è successo tre settimane fa. Lui era in motorino, accanto alla mia macchina, ma il dispositivo non ha suonato.” La vittima ha chiesto di sostituire il dispositivo, ma la risposta della polizia è stata devastante: “Ci hanno detto che il dispositivo non funziona e non c’è nulla da fare. Mi sono sentita morire dentro,” confessa Marta.
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