La lettera “Ripensare il ruolo dell’insegnante: da trasmettitore di conoscenze a facilitatore dell’apprendimento” mi induce ad alcune riflessioni.
I contenuti di detta missiva sono molto nobili e in teoria bellissimi.
Occorre però considerare che essi presto o tardi si scontrano con una realtà, prima scolastica e poi di vita, che spesso e volentieri è assai diversa.
Sì, è vero che i voti sovente sono percepiti come un criterio di successo o fallimento, ma quando studenti troppo tenuti nella bambagia scolastica usciranno dalle aule ed entreranno nella vita – e nel mondo del lavoro – si renderanno conto che anche lì verranno giudicati e prenderanno dei “voti”. Sì, perché la vita è una corsa al risultato e premia solo il risultato. Penso che il collega estensore dell’intervento in oggetto se ne sarà già reso conto.
Morale: gli insegnanti non devono essere né facilitatori né “difficilitatori” dell’apprendimento, devono saper valutare con onestà e coscienza quello che ogni studente è in grado di fare con le proprie forze, senza illudere né deludere nessuno.
Quanto ad adattarsi ai bisogni specifici di ciascuno, beh, anche qui ricorro al paragone della vita: la vita non si adatta alle esigenze di ciascuno di noi; siamo piuttosto noi che – se vogliamo sopravvivere (Darwin docet) – dobbiamo adattarci alle esigenze che l’esistenza di volta in volta ci richiede o addirittura ci impone.
Se esistesse un insegnante così bravo da adeguarsi a tutte le necessità di ciascuno dei suoi allievi (ma dubito che esista), non farebbe il loro bene, perché essi pretenderebbero che nella vita tutto il resto del mondo si adattasse alle necessità ed alle esigenze del singolo. Mentre invece è proprio lo scrivente stesso della lettera a dire che occorre preparare gli studenti di oggi ad affrontare le sfide di domani.
E’ sbagliato indorare truffaldinamente la pillola, perché quando il sottile strato di indoratura è finito, si comincia ad assaporare uno spesso strato che sovente è tutt’altro che dolce…
Daniela Orla