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Il buco nero dell’istruzione è alle medie: come uscirne?

«Fuoriclasse» di «Save the Children» e l’analisi dei risultati fatta dalla fondazione Agnelli per capire la scuola italiana.  I risultati di «Fuoriclasse», alla fine di cicli di due anni nelle quarte e quinte elementari e nelle seconde e terze medie, sono stati misurati.

E la ruota si inceppa alle scuole medie, scrive la Stampa che pubblica lo studio con dovizia di particolari.

Dalle elementari escono studenti con una preparazione omogenea e superiore agli standard degli altri Paesi, ma nei tre anni successivi si assiste a un crollo, il sistema smette di funzionare e solo chi ha famiglie sane (o chi finisce in scuole fortunate) regge il confronto con i coetanei all’estero. Da uno, due, tre maestri, formati per preparare le classi sia da un punto di vista delle competenze sia da quello pedagogico, si passa al «disciplinarismo»: dieci professori preoccupati di gestire solo la propria materia. E docenti di matematica che solo nel 9,7% dei casi (dati fondazione Agnelli) sono laureati nella materia che insegnano. Nessuno ha specifiche competenze pedagogiche e anche se i professori sono tenuti a costanti corsi di aggiornamento, non sono obbligati a fornire le proprie prestazioni nelle ore pomeridiane e il tempo scolastico finisce per essere insufficiente. Ma se non escono dalla crisi i docenti non esce dalla crisi la scuola.

Tuttavia, dice la Fondazione Agnelli, c’è il dato negativo dell’età media dei prof italiani che è la più alta d’Europa, mentre la cosiddetta Buona Scuola ha la grande lacuna di mettere al centro i professori e non gli studenti, che continuano ad avere problemi in particolare in matematica e scienze. E allora? I nuovi centomila insegnati sono stati assunti per sanare le posizioni individuali o perché il sistema aveva bisogno delle loro competenze? Quando per 500 posti si assumono 10 mila docenti di diritto diventa difficile immaginare un sistema in equilibrio. 

Le statistiche dicono ancora che alle superiori si nota una tripartizione legata al ceto familiare. Chi sta meglio va al liceo recuperando una preparazione che sopravanza gli standard internazionali, chi sta così così finisce negli istituti tecnici (dove i valori tornano sotto la media), chi sta peggio scommette sui professionali, che nei test comparativi – con delle ovvie eccezioni – ottengono risultati deprimenti. Un inarrestabile circolo vizioso. 

Pasquale Almirante

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