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Il bullismo uccide. Bisogna fare prevenzione a scuola

«“Ciccione”, “gay”, “frocio”. Parole che fanno male, feriscono, uccidono soprattutto se hai 15 anni e provengono da qualcuno che avrebbe dovuto essere tuo amico. Parole che si intrecciano con l’autolesionismo e, in alcuni casi, persino con il suicidio».

Sono le parole dì Teresa Manes, mamma di Andrea Spezzacatena morto suicida il 20 Novembre 2012 a Roma, stanco delle continue e persistenti prese in giro di compagni di scuola, di coetanei, un accanimento psicologico che forse Andrea, a un certo punto, non ha più saputo gestire.
Il 9 maggio, presso l’ISIS “Filangieri” di Frattamaggiore (NA) si è tenuto un incontro con i ragazi della scuola partenopea.

A distanza di anni il racconto della madre del ragazzo “dai pantaloni rosa” ha fatto calare il silenzio in una sala gremita di ragazzi, alla presenza del sindaco di Frattamaggiore Marco Antonio del Prete e il suo entourage, l’assessore all’Istruzione della Regione Campania, Lucia Fortini, il magistrato Ciro Luca Lotoro ed alte cariche della Polizia di Stato come la dott.ssa Eugenia Sepe uniti in un unico coro: fare un uso consapevole del web che non deve essere luogo di offese ma luogo di informazione e confronto.

Parlarne. Nelle scuole, in tv, sul web, ovunque. Questo è un modo non soltanto per rendere consapevole un pubblico di adolescenti e/o genitori di vittime e carnefici, ma anche per arrivare agli stessi ragazzi, evitando che attorno ad essi calino silenzio e indifferenza: «Parlo ai ragazzi per arrivare al loro cuore e far ragionare le loro teste», ha detto Teresa Manes. La solitudine e il senso di abbandono sono gli aspetti più dolorosi e pericolosi per i giovani. Bisogna invece far sentire loro che non sono soli, che non sono loro quelli deboli ma che i veri deboli sono coloro che si prendono gioco delle fragilità degli altri per non vedere le proprie, che hanno bisogno di schiacciare gli altri per innalzare sé stessi. Non bisogna darla vinta a coloro che pensano bene che calpestare è più facile che fare i conti con i propri limiti.

Un paio di jeans scoloriti dal lavaggio è l’immagine che Teresa Manes ha voluto tenere stretta quando ha scelto il titolo del libro “Andrea oltre il pantalone rosa”, edito da Graus editore ed è anche il simbolo più vero che Teresa potesse portare con sé nel lanciare l’impegno sociale e la sua missione: un modo per trasformare il dolore in energia positiva. Bisogna lottare con tutte le forze, gridare che i più forti sono loro, quelli che non hanno bisogno di uccidere – seppur con le parole – per sentirsi grandi.

Il centro della mia battaglia è fare prevenzione, entrare a scuola. Non mi interessa essere guardata come la madre piangente e straziata che grida il proprio dolore. Io voglio solo un’azione sociale, è questo il mio obiettivo più ambizioso”.

Ed il silenzio assordante e l’applauso scrosciante, quei «grazie» detti da adolescenti come Andrea, quei sorrisi atti a sottolineare «queste parole mi hanno rasserenato e dato forza», sono esplicativi del gran lavoro che da anni Teresa Manes fa. Questo suo pellegrinaggio emotivamente stancante è il dono, di forza, coraggio, fermezza, regalato agli alunni dell’ISIS “Filangieri” di Frattamaggiore ieri ma, anche, ai tanti ragazzi presenti lunedì 8 maggio a Curti presso l’IC “Gallozzi-Mameli”.

Termina così questa due giorni di Teresa Manes nelle scuole campane: un esercizio di consapevolezza, atto a fare sì che la delicata questione si ponga nella possibilità di essere rimossa alla radice. Il dialogo tra gli stessi giovani, il colloquio con l’insegnante e coi familiari, l’aprirsi all’amicizia e alla comprensione del proprio simile, appaiono elementi indispensabili. E la scuola, in questo, è un luogo importantissimo, giacché la cultura offerta ai ragazzi rimbalza nelle loro vite al di fuori di essa.

Redazione

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